Perché il “cubo nero” di Firenze fa discutere in Italia?
Firenze, città simbolo del Rinascimento, dello skyline armonico e dei lungarni inconfondibili, si trova improvvisamente a fare i conti con un volume estraneo al suo tessuto urbano: il cosiddetto “cubo nero”, o meglio, il blocco bianconero che svetta accanto all’ex Teatro Comunale, ora trasformato nei Teatro Luxury Apartments.
Una costruzione che ha scatenato polemiche, indignazione e un dibattito nazionale sul delicato rapporto tra architettura contemporanea e centri storici italiani.
Il progetto: da teatro a luxury apartments
Il complesso, gestito da Hines e Blue Noble attraverso il fondo immobiliare “Future Living” e ospitato da Starhotels, ha trasformato un edificio storico dismesso in residenze di lusso, servizi ricettivi e spazi comuni per la comunità.
I lavori hanno mantenuto la facciata originale del teatro, ma hanno aggiunto un volume contemporaneo nero e bianco, realizzato in pannelli di alluminio, che ospita appartamenti di varie tipologie, spa, palestra, ristoranti e una nuova Piazza Maria Callas, destinata a diventare un luogo di incontro e condivisione per residenti e turisti.
Il progetto è firmato dallo studio milanese Vittorio Grassi Architects.
Gli sviluppatori sottolineano che l’intervento rispetta tutte le norme urbanistiche e mira a creare una forma di turismo più consapevole e meno impattante, capace di integrarsi con il tessuto cittadino e valorizzare l’area.


La polemica: ecomostro o innovazione?
Nonostante le intenzioni, il cubo nero è diventato rapidamente un simbolo di rottura visiva e culturale. Antonio Bugatti, urbanista e vicepresidente dell’Ordine degli Architetti di Firenze, non usa mezzi termini:
“Sconfortante, deprimente. Quel progetto è sfuggito di mano e la politica ha le sue responsabilità”
Secondo Bugatti, manca una regia pubblica che guidi interventi di questa portata, con linee guida chiare che mettano al centro il paesaggio storico e non solo il rispetto formale delle norme.
Critici, storici e architetti internazionali concordano: Massimiliano Fuskas definisce il progetto
“un problema enorme che non riguarda solo Firenze. È la città in mano agli immobiliaristi”
Antonio Natali, ex direttore degli Uffizi, lo chiama
“la cappa di un camino, un elemento strabordante che toglie il respiro al resto della città”. E Fulvia Zeuli, architetta ed ex funzionaria della Soprintendenza, lo giudica una “soluzione pessima”
La critica si concentra anche sul materiale e il colore scelti: i pannelli di alluminio sono comuni in edifici rappresentativi, ma la scelta del nero ha accentuato la sensazione di stonatura rispetto ai colori pastello tipici dei tetti fiorentini.
Il nodo dei vincoli storici
Il progetto si trova in un’area sottoposta a vincolo dal 1953, pensato per proteggere le rive dell’Arno e limitare interventi che alterino lo skyline storico.
Nonostante ciò, il Comune sostiene che il cubo non violi le norme, mentre la Soprintendenza – organo monocratico, secondo Bugatti – ha autorizzato la conservazione della sola facciata. Una scelta contestata, definita dall’urbanista “ridicola” e “una messa in scena senza senso”.
Un dibattito nazionale
Il cubo nero fiorentino non è solo un caso locale: rappresenta la tensione tra patrimonio storico e innovazione contemporanea in tutta Italia. Città come Venezia, Roma e Napoli affrontano sfide simili, dove nuovi interventi devono convivere con un tessuto urbano antico e vincolato.
La vicenda evidenzia la necessità di trasparenza, partecipazione e regia pubblica, perché l’architettura contemporanea non possa essere imposta dall’alto, ma dialoghi con la storia e la comunità.


Riflessione sull’architettura contemporanea nei centri storici
L’Italia non è nuova a questi confronti tra architettura contemporanea e centri storici. Roma stessa ha vissuto polemiche simili, come nel caso del Museo dell’Ara Pacis di Richard Meier, completato nel 2006. Critici come Massimiliano Fuksas e Vittorio Sgarbi hanno definito l’edificio un “ecomostro” che altera l’equilibrio del centro storico romano, deturpando la vista delle chiese circostanti e ignorando il contesto urbano.
Il problema non è l’innovazione in sé, ma il modo in cui viene inserita nel tessuto storico: la scuola italiana di restauro privilegia la conservazione e difficilmente ammette stravolgimenti, creando un inevitabile confronto con altre capitali europee, da Parigi a Berlino, dove l’architettura contemporanea è spesso più accolta, seppur con risultati non sempre convincenti.
Forse la soluzione sta in un approccio di mezzo: non condannare a priori le trasformazioni, riconoscendo che i centri storici sono frutto di stratificazioni e trasformazioni continue. Il disagio nasce quando i progetti non riescono a dialogare con un pubblico più ampio.
Nel caso di Firenze, la polemica sul colore del cubo è solo la punta dell’iceberg; dietro c’è anche il fenomeno del mercato immobiliare che trasforma la città in un’isola sempre più svuotata dei suoi abitanti, aprendo un dibattito parallelo ma altrettanto urgente.




