Venezia è un film

Alla Mostra del Cinema la moda diventa racconto

La Mostra del Cinema di Venezia è, prima di tutto, una celebrazione della settima arte. Ma basta allontanarsi di pochi metri dalle sale per scoprire che, accanto al grande schermo, prende vita un secondo film: quello della moda. Non un racconto frivolo di abiti e stilisti, ma un linguaggio autonomo, capace di dialogare con l’acqua della laguna, con il rosso intenso del tappeto e con il cielo mutevole del Lido che, quest’anno, ha accolto i protagonisti sotto la pioggia invece che sotto il consueto tramonto dorato.

Le immagini che arrivano da Venezia – trasmesse in diretta da social, televisioni e carta stampata – non sono semplici cronache di stile, ma fotogrammi che descrivono storia ed estetica del cinema contemporaneo. In attesa dei premi e delle proiezioni più attese, il red carpet diventa il luogo dove si sedimentano icone e immaginari, specchio dei tempi e delle trasformazioni culturali.

Il tappeto rosso come fotogramma

Se il cinema vive di immagini in movimento, la moda sul red carpet produce still frames: istantanee che fermano il tempo. La prima serata, come spesso accade, è stata dominata dall’eleganza impeccabile di Giorgio Armani. Una successione di silhouette fluide e abiti da sera perfettamente calibrati ha confermato la solidità della maison come garante di classicità. Un’eleganza alla quale il pubblico sembra ormai abituato, tanto da rendere persino lo smoking maschile una ripetizione quasi eccessiva, un’overdose di prevedibilità.

A sorprendere è stato invece Guè, che ha calcato il tappeto rosso accanto al cast de La Grazia di Paolo Sorrentino. La stylist Rebecca Baglini ha scelto per lui un abito custom di Mordecai firmato da Ludovico Bruno. Sartoria rilassata, proporzioni nuove, apertura alle contaminazioni. Il look si è completato con accessori cult come gli occhiali Chrome Hearts “Diamond Dog”, pezzo rarissimo realizzato a mano in Giappone. Una scelta che non si limita al concetto di eleganza, ma diventa manifesto: ribellione raffinata, affermazione di un gusto che attinge alla controcultura.

Sullo stesso registro si inserisce Rose Villain con un abito drappeggiato e corsettato in georgette metallizzata ricoperta di paillettes dorate, firmato Vivienne Westwood. Un omaggio alla tradizione punk e ribelle della maison, capace di portare sul Lido la forza dell’irriverenza come gesto estetico. In un contesto dominato dal prevedibile, la scelta dell’eccesso risplende come atto di libertà.

Non poteva mancare il tema della sostenibilità, talvolta più evocato che realmente praticato. La neo global ambassador – Cate Blanchett – di Uniqlo ha scelto di riutilizzare un abito già indossato a Cannes: un Armani Privé custom, scollatura profonda e gioielli importanti a sottolinearla. Una decisione che suscita riflessioni. È davvero riuso o un modo per cavalcare la retorica green restando nel solco delle grandi griffe? Un paradosso che racconta bene le contraddizioni del sistema moda contemporaneo.

A segnare ulteriormente la stagione è anche il debutto di Intimissimi alla Mostra: un ingresso che porta sul Lido il lessico della lingerie italiana, trasformando la sensualità quotidiana in gesto scenico e aprendo un nuovo dialogo tra intimo e alta rappresentazione.

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Mostra del Cinema di Venezia 2025 – look

Moda politica, moda poetica

La moda a Venezia non è mai neutra. È politica, quando si esprime attraverso tessuti sostenibili, silhouette inclusive, riferimenti a battaglie civili. Ogni abito può diventare manifesto, un atto di presenza che prende posizione. Ma accanto a questa dimensione resiste sempre la poesia: la capacità di far sognare, di sospendere il tempo, di evocare immagini che restano nella memoria collettiva come sequenze cinematografiche.

Questa doppia natura è emersa con forza anche oltre il tappeto rosso. Durante l’apertura, le parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella hanno sottolineato il ruolo del cinema come parte essenziale della cultura italiana: capace di trasmettere bellezza, speranza e valori, e di rispondere a un bisogno di solidità culturale e di umana solidarietà.

La stessa tensione si ritrova nel film inaugurale, La Grazia di Paolo Sorrentino. Un’opera ispirata a un fatto reale: la grazia concessa da Mattarella a un uomo che aveva posto fine alle sofferenze della moglie malata di Alzheimer. Ma non è un film sull’eutanasia in senso stretto: piuttosto un’indagine sottile sui confini tra diritto e sentimento, tra verità e dubbio, tra amore e responsabilità genitoriale. È il racconto di un’Italia che si confronta con i cambiamenti del proprio presente, filtrati attraverso la sensibilità di uno dei registi più riconosciuti a livello internazionale.

Venezia come specchio

Alla fine ciò che resta non è il nome dei brand, ma l’immagine sedimentata. Una diva che attraversa il vento della laguna in un abito che sembra liquido. Un attore che affronta il tappeto con la noncuranza di un personaggio felliniano. Un collettivo che sceglie di vestirsi in maniera coordinata, trasformando il passaggio in performance.

Sono momenti che non si ripetono ma che entrano a pieno titolo nella memoria iconografica della Mostra. Perché Venezia è sempre, e comunque, un film: quello che si proietta sullo schermo e quello che, fuori, la moda scrive e riscrive ogni anno come racconto parallelo, specchio fedele dell’epoca e dei suoi desideri.

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