Distretti di successo, debolezze sistemiche e prospettive per il 2026
Conclusa la Milano Design Week 2025, è tempo di bilanci. Un’edizione che ha registrato un’affluenza record, ha confermato l’attrattività internazionale del Salone del Mobile, ma che ha anche messo in luce criticità e squilibri crescenti nella distribuzione territoriale e qualitativa degli eventi cittadini.
Mentre lo sguardo si volge già al 2026 – la Milano Design Week 2026 è in programma dal 21 al 26 aprile – diventa fondamentale capire cosa ha funzionato e cosa invece merita un’attenta revisione.
Una città a due velocità: distretti e indipendenti
La Milano Design Week si è ormai consolidata in un ecosistema stratificato e multiforme. Da una parte, i distretti ufficiali: veri e propri poli di attrazione che promuovono il proprio territorio tutto l’anno e che durante la settimana del design esplodono di eventi e installazioni. Dall’altra, i progetti indipendenti, spesso legati a singoli designer, brand o associazioni, capaci negli anni di costruire un’identità forte e una fanbase fedele, a prescindere dalla loro collocazione geografica.
A questo va aggiunto il ruolo chiave degli showroom, che rappresentano le basi stabili dei brand durante tutto l’anno, ma che in occasione della Design Week si trasformano in avamposti esperienziali, spesso più accessibili e organizzati delle stesse installazioni temporanee.
Il Salone del Mobile: un epicentro internazionale
A Rho il Salone del Mobile 2025 ha confermato la sua leadership mondiale, con oltre 300.000 visitatori e un dato che parla chiaro: il 68% del pubblico è composto da professionisti stranieri, soprattutto da Cina, Germania e Spagna. Il dato segna un doppio movimento: da un lato l’attrattiva globale del Salone, dall’altro la crescente assenza dei professionisti italiani, più orientati verso gli eventi diffusi in città e gli showroom, accessibili tutto l’anno.
Il Salone non è più solo una fiera commerciale, ma è diventato un hub culturale, grazie anche a installazioni spettacolari e progetti curatoriali.
Tuttavia, non mancano le polemiche: su tutte, l’installazione di Paolo Sorrentino, che ha creato aspettative altissime senza prevedere un sistema di gestione del flusso. Una stanza pensata per poche decine di persone non può accogliere l’hype generato da 300.000 visitatori.
I distretti: successi, ombre e nuove sfide
Porta Venezia
Protagonista indiscusso di questa edizione. Il distretto ha registrato numeri altissimi sia in presenza sia sui social, portando a casa premi e consensi. Le installazioni hanno attratto pubblico per tutta la settimana, non solo nei primi giorni, segno di una programmazione intelligente e ben calibrata. Un successo che nasce anche da una forte sinergia tra territorio, istituzioni e creativi.
Brera Design District
Conferma il suo ruolo centrale. Il quartiere, già naturalmente predisposto al design e al lifestyle, ha beneficiato della presenza degli showroom più importanti, ma anche della sua anima elegante e viva. Brera è oggi il simbolo della fusione tra lavoro e piacere: mostre di giorno, aperitivi di sera. Una formula vincente.
Porta Nuova e Isola
Se Brera brilla, Porta Nuova fatica. Le installazioni sembrano quasi un riempitivo rispetto alla vitalità di Piazza Gae Aulenti, popolata di suo ma non “stimolata”. Il distretto resta una sorta di estensione urbana senza una vera identità curatoriale.
Isola, invece, si scontra con la propria geografia. I progetti, spesso curati da designer emergenti, sono validi ma faticano a trovare il loro pubblico. Le location sono piccole e mal distribuite, e la distanza dagli altri poli rende il distretto un luogo per pochi coraggiosi.
5VIE
Un distretto che rischia di perdersi. Nonostante l’alta qualità delle nuove location, manca un’identità definita. Troppa quantità, poca selezione. Il risultato è un’esperienza dispersiva, che alimenta un senso di smarrimento nel visitatore. Urge una riflessione profonda: cosa vogliono essere le 5VIE?
DDDesign – Via Durini
Ancora acerbo. Il progetto ha potenziale, ma non ha ancora trovato un linguaggio forte. Attualmente si percepisce come un agglomerato disordinato. Tuttavia, se ben sviluppato, potrebbe restituire centralità a un’area storicamente rilevante per il design.
Certosa, Sarpi, Stadera
Tre nuovi distretti che faticano a emergere. Nonostante l’inserimento nel calendario ufficiale, sono schiacciati dai “big” del settore. Mancano tempo, visibilità e un racconto coerente. Serve una strategia di lungo periodo per evitare che restino periferie culturali.
Tortona
Un tempo cuore pulsante della design week, oggi è il simbolo di una crisi gestionale. Frammentazione, mancanza di regia, brand fuori tema e infrastrutture carenti lo rendono il grande flop del 2025. La lontananza dalla metropolitana (via Savona su tutte) penalizza il distretto, che ormai vive più di rendita che di contenuto. Una revisione è necessaria, prima che il declino diventi irreversibile.
I progetti e i luoghi: tra eccellenze e delusioni
Moscapartners
Eccellenza ormai consolidata. Grande capacità curatoriale, location suggestive e una selezione internazionale di qualità. Moscapartners è oggi un punto di riferimento imprescindibile.
Alcova
Ambizioso ma divisivo. Lontano dai distretti, sembra aver perso il contatto con il cuore pulsante della città. L’idea è forte, ma servirebbe un ritorno al centro o un ripensamento del format.
Interni e Università Statale
Spazio iconico, ma quest’anno in affanno. Le installazioni convincono a metà e le code iniziano a diventare disincentivanti. Forse il design va raccontato anche con altri linguaggi, non solo attraverso installazioni immersive.
Masterly
Posizione invidiabile, a pochi passi dal Duomo, e progetti di qualità. Il successo è assicurato, ma ci si chiede se non sia il caso di estendere la durata dell’esposizione o di portarla anche al di fuori della Design Week.
Tortona Rocks, Base, Superdesign Show
Rappresentano oggi più un problema che una risorsa. Troppe contraddizioni, poca chiarezza nella proposta curatoriale. È tempo di decidere se vogliono essere eventi generalisti o hub di innovazione. Così non funzionano.
Dropcity
L’idea c’è, ma il risultato è ancora un “work in progress”. Ogni visita sembra restituire un progetto incompleto. L’impressione è quella di un potenziale sprecato se non si definisce una direzione precisa.
Artemest
Grande affluenza, ma progetto poco raffinato. Il palazzo Donizetti, splendido, è stato sovraccaricato. Troppe cose, troppe superfici riempite: serviva una selezione più curata.
Elle Decor
Tante location, ma poca sintesi. L’effetto è una sorta di overdose di design, che rischia di scoraggiare i visitatori già provati da code e spostamenti.
Triennale e ADI
Restano i luoghi dell’eccellenza, ma da loro ci si aspetta di più. Dovrebbero essere i veri epicentri culturali della settimana, ma ancora sembrano in attesa di un’identità forte e proattiva. Non bastano più le belle mostre: serve un ruolo guida.
La moda e il design: una relazione da ripensare
I brand di moda continuano a presidiare la Design Week, ma spesso con proposte poco rilevanti o eccessivamente markettizzate. Il design non si fa con il merchandising e le installazioni patinate. Alcuni brand riescono nell’intento di costruire un racconto coerente, ma molti altri sembrano presenti solo per dovere di agenda. La moda dovrebbe imparare a tacere quando non ha nulla da dire, piuttosto che forzare il dialogo.
Sipario !