Il crollo silenzioso della moda: filiere, aziende, artigiani e lavoratori coinvolti. Cosa sta succedendo?
Se da Parigi a Milano le passerelle hanno celebrato debutti trionfali e standing ovation, la realtà della moda italiana e internazionale appare molto diversa. Al di là delle campagne pubblicitarie, dei red carpet e dei reportage glamour, il settore è attraversato da una crisi profonda, strutturale e sistemica.
Non basta cambiare un direttore artistico o un CEO per risolvere problemi che riguardano la filiera, i lavoratori, la governance aziendale e persino la percezione globale del Made in Italy.
La crisi coinvolge tutti i livelli: dai grandi gruppi industriali agli artigiani storici, dai produttori locali ai lavoratori dei reparti produttivi. È una crisi che tocca l’economia, la cultura, la creatività e il tessuto sociale della moda italiana, e che rischia di compromettere l’intero ecosistema.
Ecco cosa sta succedendo davvero nel mondo della moda. Le ultime notizie:
Kering Italia: sciopero e rottura delle relazioni industriali
Il gruppo Kering, simbolo del lusso globale, ha vissuto un momento storico con uno sciopero nazionale dei dipendenti, che ha segnato un punto di frattura nelle relazioni industriali. La protesta è nata dall’imposizione unilaterale di accordi senza confronto con i sindacati, evidenziando una distanza crescente tra dirigenza e forza lavoro.
Questa mobilitazione ha messo in luce quanto anche i colossi del lusso possano trovarsi in difficoltà quando le strategie manageriali ignorano la dimensione umana e industriale del settore. La crisi non riguarda solo Gucci o Kering, ma riflette un problema sistemico: il disallineamento tra creatività, gestione aziendale e realtà produttiva.
Aeffe e Pollini: il lusso italiano in difficoltà
Anche Aeffe, proprietaria di brand iconici come Alberta Ferretti e Moschino, affronta una crisi finanziaria profonda. Il gruppo ha registrato un calo significativo del fatturato e perdite nette crescenti, nonostante alcune manovre finanziarie per ridurre l’indebitamento.
A preoccupare non sono tanto i marchi di punta, ma le controllate come Pollini, che rappresentano il cuore produttivo e artigianale del gruppo. Le nomine strategiche e l’ingresso di manager di alto profilo non sono sufficienti a invertire la tendenza. La situazione mostra come la crisi della moda non sia legata esclusivamente alla creatività o ai singoli brand, ma a un modello industriale sempre più fragile e poco sostenibile.
Manifattura del Casentino: la fine di un’eccellenza storica
Tra le storie più emblematiche della crisi italiana c’è la chiusura della Manifattura del Casentino, storica azienda del distretto aretino, produttrice del celebre panno casentino. Dopo mesi di difficoltà e problemi operativi, 13 lavoratori hanno perso il posto.
La chiusura di questa realtà rappresenta la fine di un patrimonio artigianale unico, simbolo della tradizione tessile toscana e della qualità Made in Italy. Non si tratta solo di posti di lavoro persi, ma della scomparsa di un pezzo di storia culturale, testimoniata anche dalla fama del panno casentino nel mondo. L’azienda aveva tentato di sopravvivere come contoterzista, ma le oscillazioni del mercato tessile e l’assenza di commesse stabili hanno reso impossibile la continuità produttiva.
Benetton: crisi interna e proteste dei lavoratori
Il gruppo Benetton, da sempre simbolo del Made in Italy globale, ha visto manifestazioni e scioperi dopo decenni di apparente stabilità. Le proteste sono nate a seguito di contratti di solidarietà imposti unilateralmente dall’azienda, che hanno ridotto il lavoro di alcuni dipendenti a una sola giornata ogni dieci.
La difficoltà non riguarda solo la misura economica, ma la mancanza di dialogo e trasparenza. La gestione dei turni e l’applicazione dei tagli hanno generato tensioni interne, mettendo in luce un problema strutturale della gestione aziendale: la difficoltà di conciliare esigenze finanziarie con il benessere dei lavoratori e la continuità produttiva.
La filiera e i lavoratori: l’anello più fragile
La crisi della moda italiana non si limita ai bilanci in rosso o ai marchi in difficoltà: è una crisi sociale e industriale, che tocca direttamente la vita di migliaia di lavoratori e la sopravvivenza di piccole realtà artigianali. I lavoratori sono spesso considerati l’anello più fragile di un sistema complesso, soggetti a contratti precari, riduzione dei diritti e condizioni lavorative instabili. In molte aziende, la pressione competitiva spinge a ricorrere a subappalti non regolamentati, catene produttive frammentate e turni massacranti, aumentando il rischio di scandali e violazioni dei diritti dei dipendenti.
Gli artigiani e i piccoli produttori rappresentano il cuore pulsante della moda italiana: custodi di tradizioni secolari, depositari di conoscenze e competenze difficilmente replicabili. La loro sopravvivenza è messa in pericolo dalla concorrenza globale e dalla mancanza di politiche di sostegno efficaci. Piccole botteghe tessili, laboratori di pelletteria e aziende familiari rischiano di chiudere, portando con sé intere generazioni di saperi artigianali. Ogni chiusura non è solo una perdita economica, ma una ferita culturale: spariscono storie, tecniche, colori e manualità che hanno reso il Made in Italy unico nel mondo.
Inoltre, il settore è costantemente sotto pressione dall’ultra fast fashion, che inonda il mercato con prodotti a bassissimo costo, spesso realizzati senza alcuna tutela dei lavoratori e con materiali di scarsa qualità. Questa concorrenza sleale non solo mette in difficoltà le piccole aziende italiane, ma distorce l’intero mercato, imponendo una logica di quantità e velocità che va contro i principi della qualità e della sostenibilità. L’ecosistema moda, già fragile, si trova così sotto attacco su più fronti: economico, culturale e sociale.
Intervento del governo: misure e strumenti per la sopravvivenza
Di fronte a questa crisi strutturale, il governo italiano ha cercato di mettere in campo strumenti per tutelare il settore, intervenendo su più livelli. Sono state promosse misure specifiche contro l’ultra fast fashion, volte a ridurre l’invasione di prodotti esteri a basso costo e a incentivare la trasparenza lungo tutta la filiera produttiva. L’obiettivo dichiarato è proteggere il Made in Italy, garantire legalità, responsabilità e sostenibilità, e sostenere quei produttori che mantengono alti standard qualitativi e sociali.
Tra le iniziative più rilevanti c’è la creazione di un sistema volontario di certificazione delle filiere, che permette alle aziende di attestare la correttezza e la sostenibilità della propria produzione. Le imprese che aderiscono a questo schema possono dimostrare trasparenza e responsabilità, tutelando lavoratori e artigiani e fornendo al mercato un segnale chiaro della qualità italiana. Questo strumento diventa cruciale in un momento in cui la concorrenza internazionale premia il prezzo e la quantità a scapito della qualità e della sicurezza del lavoro.
Oltre alla certificazione, sono previste misure di supporto per favorire la formazione, l’innovazione e la sostenibilità lungo tutta la filiera, in particolare per i laboratori artigianali e le PMI che rappresentano il tessuto reale della moda italiana. Solo intervenendo a questo livello, con politiche integrate e mirate, è possibile creare un ecosistema resistente e capace di competere sui mercati internazionali senza sacrificare valori, identità e qualità.
Moda italiana al bivio: riflessione o sopravvivenza?
La crisi della moda italiana oggi si presenta come un bivio epocale. Da una parte c’è il rischio di continuare a inseguire l’immagine patinata delle passerelle, dei red carpet e delle campagne pubblicitarie, un mondo appariscente che nasconde problemi concreti e profondi. Dall’altra c’è la necessità di fermarsi a riflettere sull’intero ecosistema, dall’organizzazione produttiva alla tutela dei lavoratori, dalla valorizzazione dei piccoli artigiani alla gestione strategica dei grandi marchi.
La sopravvivenza del settore non dipende soltanto dai bilanci aziendali, ma dalla capacità di proteggere chi produce realmente il Made in Italy.
È essenziale tutelare la qualità dei prodotti, la tradizione artigianale e le condizioni dei lavoratori, con un approccio che integri sostenibilità, innovazione e responsabilità sociale.
I segnali di crisi sono evidenti: bilanci in rosso, chiusure di marchi storici, scioperi dei lavoratori, tensioni sociali e concorrenza sleale. La moda italiana si trova di fronte a una scelta fondamentale: preservare la centralità della filiera, rafforzare i legami tra aziende, artigiani e lavoratori, e riconsiderare le priorità del settore, o rischiare la perdita di un patrimonio unico, economico, culturale e identitario che ha reso il Made in Italy famoso in tutto il mondo.
Solo con un impegno concreto e condiviso la crisi potrà trasformarsi in un’occasione di rinascita, ripensando la moda non come spettacolo o entertaiment, ma come un ecosistema vivo, fatto di persone, storie e competenze che devono essere preservate per garantire futuro, identità e competitività internazionale.


