“Form follows emotion”: emozioni e animismo nel Design
Elena Salmistraro, una delle figure femminili più influenti nel mondo del design italiano e internazionale, si distingue per la sua straordinaria creatività. I suoi progetti rappresentano una fusione magica tra design e arte, un incontro tra funzionalità e bellezza.
Gli oggetti ideati da Elena Salmistraro hanno l’obiettivo di suscitare emozioni e di incantare chi li osserva. Il suo lavoro è il frutto di una ricerca costante, un’attenta analisi dei dettagli, una maestria nell’uso delle forme e una profonda poeticità che si riflettono in ogni sua creazione.
Elena ha fatto il suo ingresso trionfale sulla scena Milanese, catturando l’attenzione di tutti con la sua visione unica e la sua passione per il design. In questa intervista, andremo a scoprire di più sulla sua ispirazione, le sue sfide e il suo impatto nel mondo del design.
Cosa pensa del panorama italiano del design e di quello internazionale?
Credo che al momento attuale il mondo del design stia vivendo uno dei suoi periodi più ricchi e stimolanti. So che molte persone potrebbero non essere d’accordo con me, pensando ai grandi maestri del passato. Tuttavia, preferisco guardare al design nel suo complesso anziché concentrarmi su un singolo designer o una specifica scuola, proprio come mi avete chiesto di fare.
Per spiegarmi meglio, è evidente che oggi assistiamo a una molteplicità di voci, una varietà di ricerche e linguaggi, sovrapposizioni e ibridazioni. Se da un lato questo potrebbe tradursi in un ritmo più lento in termini di innovazione, dall’altro ci offre una continua fonte di ispirazione e nuove prospettive.
In passato, stili, correnti e scuole di pensiero hanno spesso uniformato i linguaggi e le ricerche, creando involontariamente una sorta di dicotomia tra giusto e sbagliato, bello e brutto, funzionale e artistico, design e non design. A mio parere, questo approccio è ormai completamente anacronistico e non favorisce lo sviluppo nel campo del progetto e delle idee.
Scuola d’arte a Brera, laurea in fashion design e industrial design al Politecnico. La sua formazione dimostra come la combinazione e la conoscenza dei vari settori creino dei corti circuiti proficui. Ai giovani designer che si avvicinano alla professione e ai giovani italiani cosa consiglia?
Sembrerà banale, ma in realtà da anni do sempre lo stesso consiglio: cercate il vostro linguaggio personale. Quando parlo di linguaggio, non intendo un vocabolario formale da ripetere ossessivamente come un marchio registrato, ma piuttosto la coerenza e l’unicità nella vostra ricerca creativa. Come accennavo prima, il design contemporaneo si distingue notevolmente da quello del passato, soprattutto per la molteplicità delle proposte. Se un tempo appartenere a una specifica categoria o scuola era una prassi gradita e necessaria, oggi i duplicati e le varianti sembrano prive di senso. Naturalmente, possono esistere similitudini di pensiero o di metodo, ma è fondamentale che queste vengano sempre espresse con una marcata visione soggettiva e autentica. Un progetto deve essere sincero, riflettendo i valori e l’essenza del progettista.
Sveliamo il dietro le quinte. Dietro ai concept che tipo di ricerca fa e cosa la ispira maggiormente?
Il mio approccio al design è estremamente personale, nel senso che esso funge da specchio della mia identità, svelandomi sotto molteplici sfaccettature. Come un’opera d’arte, i miei progetti trasportano e sono permeati dalle emozioni. Se dovessi descrivere sinceramente l’ambito di ricerca a cui dedico la maggior parte del mio tempo, dovrei concentrarmi sulla sfera personale, sul rapporto tra il designer e l’oggetto. Il progetto “Most Illustrious” rappresenta un esempio concreto di questo concetto: i designer diventano una parte integrante di ciò che hanno creato, quasi come se fossero membri del medesimo corpo, figli o molecole.

Per quanto riguarda l’ispirazione, è sempre difficile definirla in maniera rigida, poiché essa arriva in modi imprevedibili. Ciò che possiamo fare, tuttavia, è imparare ad osservare, a percepire, a comprendere il mondo che ci circonda. Seguendo il consiglio di Castiglioni, possiamo sviluppare una curiosità incessante che ci aiuta enormemente. Forse è proprio questo il cuore della vera ricerca: superare le barriere che offuscano la nostra visione e iniziare a guardare, a esplorare in maniera differente ciò che ci circonda.
I più grandi artisti hanno creato le loro opere più straordinarie semplicemente aprendo gli occhi su vasi, fiori e frutta disposti su un tavolo, osservandoli con uno sguardo diverso e profondo.
Il colore guida tutte le sue creazioni. Oggi nel design spopola il colore tortora in risposta all’eccessiva moltitudine di colori e l’incapacità nel trovare una logica compositiva nell’arredare. Che ruolo ha oggi il colore nel design e che ruolo avrà in futuro?
Oggi, il colore gioca un ruolo di straordinaria importanza nel mondo del design. Finalmente, siamo riusciti a superare il retaggio culturale che una volta contrapponeva il colore e il decoro al mondo del design industriale. Tuttavia, è innegabile che spesso il colore venga utilizzato in modo superficiale, seguendo semplicemente le mode del momento o cercando di ravvivare progetti ormai obsoleti.
Per quanto mi riguarda, il colore raramente segue le logiche dettate dalle tendenze o da considerazioni legate all’adattamento agli spazi. Nel momento della composizione, il colore assume per me una valenza emozionale profonda, difficilmente eliminabile durante la fase di definizione del progetto. Il colore porta con sé un significato chiaro, un messaggio incisivo e un peso specifico all’interno del progetto; non è mai una scelta frivola o casuale.
Guardando al futuro, non credo che nel design ci saranno cambiamenti significativi da questo punto di vista. Purtroppo, le logiche commerciali spingono ancora troppo spesso a considerare gli oggetti come semplici elementi d’arredo, destinati ad essere inseriti in abitazioni che raramente hanno il coraggio di riflettere la personalità e il carattere di chi le abita.
I suoi oggetti sembrano animati. L’emozione fa parte delle funzioni dell’oggetto. Il suo è un approccio “form follows emotion”?
La forma segue le emozioni, ma non solo; sarebbe limitativo affermare solamente questo. Un progetto rappresenta sempre la somma di molteplici componenti, un processo intrinsecamente complesso, caratterizzato da variazioni infinite, considerazioni e valutazioni innumerevoli.
Nella fase iniziale, come ho già menzionato, nel mio caso, le emozioni e lo stato d’animo giocano un ruolo significativo, ma costituiscono soltanto il primo passo di un lungo percorso verso la realizzazione del prodotto finale. Non ho mai creduto che la forma possa essere il risultato di un singolo elemento generatore; al contrario, credo nella sua intrinseca complessità. Questa complessità non va confusa con la complicazione, ma piuttosto con la sovrapposizione e la stratificazione.
Ha avuto modo di sperimentare l’intelligenza artificiale nei progetti come per la Torre Velasca. Cosa pensa di questi nuovi strumenti? Che uso ne fa? Possiamo parlare oggi di intelligenza artificiale creativa?
In realtà, per il progetto relativo alla Torre Velasca, non abbiamo mai fatto uso dell’intelligenza artificiale. Abbiamo lavorato su una animazione digitale, pensata per essere accessibile a chiunque. Questa ci ha permesso di lavorare su un edificio intoccabile, in quel periodo in fase di restauro completo. Tuttavia, sia l’idea iniziale che l’effettiva realizzazione sono il frutto del lavoro umano.

Per quanto riguarda l’intelligenza artificiale, ho cercato di comprendere in quale modo potesse essere sfruttata e quali potenzialità potesse offrire, senza alcun pregiudizio. Devo ammettere che si tratta di uno strumento straordinariamente potente che, con certezza, rivoluzionerà completamente i metodi di lavoro nel futuro. Personalmente, non sono riuscita a ottenere risultati eccezionali, poiché ho capito che molto dipende dall’abilità di formulare le domande e che i risultati sono strettamente legati alla fonte, in particolare al web.
Al momento, ritengo che sia ancora troppo presto per parlare di intelligenza artificiale creativa, ma è indubbiamente uno strumento eccezionale, soprattutto se integrato in software di fotoritocco o di modellazione 3D, ad esempio.
Negli ultimi anni ha collaborato con tantissime aziende. Ci racconta come è cominciata questa sua esperienza?
Ho iniziato il mio percorso con l’autoproduzione. Come spesso accade, cercavo di contattare le aziende, ma non ottenendo alcuna risposta. Così, ho deciso di prendere in mano la situazione e ho creato personalmente una collezione di oggetti in cartapesta e terracotta. Era il 2012, e quegli oggetti sembravano provenire da un mondo alieno. Ora, a guardarli con occhi diversi, sarebbero incredibilmente attuali, soprattutto considerando l’attuale enfasi sulla sostenibilità.
Questa collezione fu selezionata da Superstudio per una mostra collettiva che si teneva nel loro basement durante il Fuorisalone. Fu proprio lì che attirò l’attenzione di Silvana Annicchiarico e Andrea Branzi, i quali decisero di includerla in un’altra mostra itinerante.
Da quel momento, iniziarono le prime piccole collaborazioni con diverse aziende, fino a quando ho avuto l’opportunità di lavorare con Bosa al progetto Primates. Questa collaborazione, in un certo senso, mi ha dato la possibilità di far conoscere il mio lavoro e di esprimere al meglio la mia visione creativa.
Quanto ritiene oggi siano importanti per le aziende le collaborazioni e come si stanno evolvendo?
Le collaborazioni costituiscono il cuore pulsante di questa professione. Non ho molta fiducia nelle aziende che si affidano a un unico interprete o nei marchi dei designer, poiché credo che col passare del tempo il risultato finisca per diventare noioso e autoreferenziale. Per quanto mi riguarda, la vera forza risiede nella diversità, nell’arte di cogliere prospettive differenti. Il design stesso nasce dalla collaborazione e dallo scambio di conoscenze e competenze.
Naturalmente, oggi ogni azienda e ogni designer rappresentano un universo a sé, con logiche e strategie in costante evoluzione. Tuttavia, questi aspetti non mi stuzzicano più di tanto. Nel corso degli anni, ho imparato a selezionare le aziende con cui collaboro in base a una condivisione di valori e ad un’armonia a livello umano, piuttosto che valutare il prestigio del marchio o la sua posizione sul mercato. Per me, lavorare con Apple, Microsoft o Disney è equivalente a collaborare con una qualsiasi startup.

Cosa pensa non funzioni nelle collaborazioni e quali questioni possono essere migliorate?
Una collaborazione rappresenta innanzitutto un accordo, una conoscenza, una affinità di vedute. Non posso nemmeno immaginare di entrare in collaborazione con qualcuno senza aver prima instaurato un rapporto sincero, aver scambiato idee e compreso appieno la persona o l’azienda con cui dovrei lavorare. Non accetterei mai di collaborare con qualcuno se avvertissi che nel profondo qualcosa non va o non funziona.
Forse dovremmo imparare anche a farci carico delle nostre decisioni e delle nostre scelte, rifiutando ciò che non ci soddisfa appieno, anche perché altrimenti non si tratterebbe di collaborazione ma diventerebbe qualcos’altro.
Il bespoke design sta emergendo come una tendenza significativa. Le aziende stanno adottando una nuova consapevolezza che valorizza le competenze delle persone e degli artigiani. Cerchiamo oggetti unici che siano unicamente nostri?
Certamente. Da questa prospettiva, il design rappresenta e deve incarnare l’essenza della contemporaneità. Rispetto al passato, quando si cercava di identificarsi come parte di una comunità o di una categoria, oggi prediligiamo esprimere la nostra individualità. Questo fenomeno è facilmente comprensibile dal punto di vista sociologico. In passato, chi proveniva dalle campagne desiderava adottare l’aspetto del cittadino modello, adottando e conformandosi a certi stereotipi formali. Al contrario, oggi, essendo per la maggior parte cittadini urbani, sentiamo la necessità di distinguerci dalla massa, e lo facciamo cercando una forma di unicità, più o meno consapevole.
Tradurre questa concezione in un prodotto concreto rappresenta una sfida di notevole complessità, soprattutto quando si tratta di produzioni in serie. Credo che una soluzione possa essere quella di sfruttare in modo intelligente l’idea di collezioni limitate nel tempo. Questo approccio potrebbe aprire la strada a creazioni davvero interessanti.
Parliamo dell’arte contemporanea oggi. Cosa ne pensa?
Ci sarebbe tanto da dire, ma ciò che più mi affascina è che sia per strada o per lo meno e da lì che nasce, è parte integrante della nostra vita quotidiana, una sfida al concetto tradizionale di arte e di chi può accedere ad essa. Artisti come Banksy, Obey, Kaws, Filipe Pantone, JR e Os Gemeos solo per citarne alcuni tra i più noti, sono attorno a noi, forse dovremmo tutti sforzarci di comprendere meglio ciò che ci circonda e valorizzarlo di più. Non è solo una questione di apprezzare l’aspetto estetico delle opere, ma di abbracciarne il messaggio e scoprire la profondità dietro le creazioni.
L’arte, la moda e il design hanno un linguaggio immediato e riescono a raggiungere un pubblico vasto. L’architettura ha perso la sua bussola?
Non credo, piuttosto ritengo che l’architettura segua un ritmo diverso. Mentre la moda, il design e l’arte possono spesso manifestarsi con immediatezza, l’architettura per sua natura ha bisogno di tempi differenti.
Forse, se dovessimo essere critici, è tutto il resto ad esser diventato frenetico e impaziente, e non l’architettura, creando un divario palpabile. Tuttavia, non sono un architetto, quindi preferisco astenermi dall’addentrarmi in questioni che non mi appartengono del tutto.
Settembre è il fashion month, Milano si prepara ad essere la capitale della moda. Ha mai pensato ad una sua collezione?
Durante gli anni dell’università, quando studiavo moda al Politecnico, ho avvertito una sorta di incompatibilità tra me e il fashion design, ma non sono mai riuscita a dare una spiegazione razionale a questa sensazione. Non c’è mai stato un elemento o una causa scatenante.
Tuttavia, alcuni anni fa ho avuto il piacere di collaborare con Marella su una Limited Edition e devo ammettere che è stata un’esperienza estremamente entusiasmante. È evidente che pensare alla moda con un approccio da designer è completamente differente. La stessa sensazione si è ripetuta quando ho disegnato una borsa per UpToYouAnthology, e anche il risultato ottenuto è stato qualcosa di inaspettato ed affascinante.
Riguardo alla creazione di una mia collezione, non sono sicura di essere pronta per questo passo, ma sicuramente mi piacerebbe continuare a collaborare con il mondo della moda.
Ci sono un brand storico e uno emergente di moda con cui vorrebbe collaborare e perché?
Il brand storico potrebbe essere Schiaparelli, grazie alla sua visione surrealista e al coraggio di osare. Sarebbe veramente affascinante immaginare una collezione di alta moda per a questa iconica casa di moda.
Quanto al brand emergente, se possiamo definirlo così, Marni potrebbe rappresentare una scelta interessante. Sono innamorata del loro uso dei colori e mi piacerebbe creare una collezione che spazia dall’abbigliamento all’arredamento per la casa, partendo dalla loro estetica unica ed energica.

Parliamo di Elena. Quali passioni ha e quando riesce a trovare del tempo libero, cosa fa?
Elena ama passeggiare e dipingere, riguardo alla questione tempo è proprio una bella domanda perché continuo a pormela anche io.
Tra figli e lavoro è tutto sempre troppo veloce, ma ultimamente ho deciso di andare nella casa in campagna ogni fine settimana e dedicarmi a me ed alla pittura.
Prima di concludere e ringraziarla per il prezioso contributo che sicuramente servirà da guida a molti giovani designer, vorremmo porle un’ultima domanda che suona quasi come un appello: esiste qualcosa che non ha ancora avuto l’opportunità di progettare ma che desidererebbe realizzare in futuro?
Non saprei, forse una grande scultura da regalare alla mia città.
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