La parabola della libertà: dalle mutande alle bretelle
Milano, Fondazione Prada. L’aria vibra di attesa. Il pubblico fuori è numeroso, come sempre, ma questa volta l’attesa si arricchisce di coreografie improvvisate: palloncini colorati danzano nell’aria, un saluto ironico e festoso agli ambassador asiatici, simbolo del potere internazionale del brand. La sfilata SS26 di Prada è più di un evento moda: è un segnale di forza, eleganza e rilevanza globale. Tra gli ospiti, un parterre d’eccezione che riflette il magnetismo del brand: Benedetta Porcaroli, Elodie, Carey Mulligan, Felicity Jones, Kerry Washington, Peggy Gou, Emma Chamberlain e Charli D’Amelio.
In un momento storico in cui Milano tenta di ridisegnare la propria centralità, Prada, Miu Miu e Versace si collocano come pilastri di un nuovo assetto della moda italiana. Le dichiarazioni di Lorenzo Bertelli, futuro CEO del gruppo Prada, delineano chiaramente le sfide: “Naturalmente, rispetto pienamente il diritto del Signor Armani di fare ciò che vuole della sua azienda. Ma, ovviamente, saremmo delusi se Armani finisse sotto controllo straniero.” Dietro le parole si percepisce la volontà di consolidare un’Italia della moda coesa, consapevole che, contro i colossi francesi, serve un fronte unitario. Ma la realtà del Made in Italy resta complessa: filiere frammentate, rapporti delicati tra artigiani e designer, imprese spesso poco propense all’accorpamento.
A complicare ulteriormente il quadro c’è la creatività. In molti sostengono che non servano nuovi prodotti, ma pochi capi fatti bene. La realtà dei fatti mostra che il marketing e la comunicazione continuano a prevalere sull’artigianato e sull’eccellenza produttiva. Tuttavia, Prada mantiene una parabola ascendente: Miu Miu cresce notevolmente, sostenendo l’andamento del marchio madre, anche se il matrimonio creativo tra Ralf e Miuccia non è sempre lineare. I dati di vendita restano positivi, nonostante una crisi diffusa del settore.
La sfilata si apre senza scenografie complesse: nessun intervento degli AMO, nessuna installazione spettacolare. Solo il pavimento arancione lucido e le gradinate a circondare lo spazio. Il primo look è un’uniforme. Un inizio volutamente emblematico: uniformi come simbolo di libertà, reinterpretate in chiave chic, con capelli bagnati all’indietro e gioielli discreti all’orecchio. È un richiamo elegante e deciso, quasi in stile Ferrari, che segna il tono della collezione: un equilibrio tra disciplina e espressione personale.
Ben presto, però, emerge la vera Pradaness: dalle mutande agli short pants fino alle bretelle. La collezione gioca con il sarcasmo, ironico e social-friendly, generando hype e attenzione globale. Ma questa ricerca spasmodica del successo rischia di perdere di forza narrativa. La linea sottile tra spettacolo e prodotto commerciale diventa sempre più evidente: micro top, gonne destrutturate, accessori iconici come il sacchetto di raso trasformato in borsa sono esempi di una ricerca estetica intensa, ma talvolta percepita come eccessiva.
Tra ironia e sogno: la moda come libertà e corpo
La palette cromatica rimane fedele alla tradizione Prada: blu, grigio, nero, con tocchi vivaci che attraversano l’intera collezione. L’utility wear domina, con capi pensati per essere versatili e adattabili a tutte le occasioni. Le culotte e le gonne, rivisitate in chiave anni Cinquanta con patchwork tessile, incarnano resilienza e trasformazione. I look sono pensati per adattarsi agli eventi contemporanei e all’incertezza che li caratterizza.
Eppure, al di là degli intenti concettuali, resta la domanda: chi indosserà i guanti lunghi e le gonne con bretelle? Prada qui spinge sul concetto di emancipazione fisica e libertà come stato d’animo. L’uniforme diventa strumento di sfida, di rottura delle gerarchie della percezione, esaltando il corpo e non solo il guardaroba. La donna Prada, secondo il duo creativo, può essere bella, elegante, forte e libera.
Gli accessori continuano a stupire: forme iconiche reinterpretate, materiali nobili e sperimentazioni ironiche. Anche un semplice sacchetto di raso diventa borsa, confermando la capacità del brand di ridefinire i codici senza perdere la propria identità. Ma non è più la sorpresa di una volta: la parabola della libertà Prada appare più consapevole che rivoluzionaria.
SS26 racconta, dunque, un brand che continua a infrangere le regole, anche quando la magia sembra spegnersi. Prada gioca con l’ironia, la provocazione, la trasformazione, in un processo creativo che riflette l’incertezza dei tempi. La moda è dibattito o è fatta per essere indossata? La collezione non offre risposte definitive, ma conferma una visione: la libertà di vestirsi secondo sé stessi, tra corpo, costume e provocazione estetica.
Con questa collezione, il duo creativo infrange ancora una volta le regole del vestire, in un percorso che sembra avviarsi verso una parabola discendente e in cui lo stupore si affievolisce. Eppure, forse proprio in questo sta la libertà: continuare a esprimere sé stessi, anche inserendo sul mercato capi che non appartengono al core business, ma servono a stimolare attenzione e riflessione.
La moda, allora, è dibattito o deve solo essere indossata?




