Anthony Vaccarello e la notte parigina che consacra la sensualità
La Paris Fashion Week – settembre 2025 si apre con un appuntamento che non delude mai: la sfilata di Saint Laurent SS26, firmata da Anthony Vaccarello. Il designer sceglie ancora una volta la Tour Eiffel come quinta teatrale, trasformandola in un monumento vivo, avvolto da luci calde che ricordano un set cinematografico. L’effetto è ipnotico: la città stessa sembra farsi parte integrante della narrazione, confermando quanto Parigi sia non solo cornice ma sostanza del linguaggio di Saint Laurent.
L’attesa, come sempre, è altissima. Prima ancora che la passerella si accenda, l’attenzione è catturata dal parterre, che diventa a sua volta spettacolo. La prima fila è un mosaico di icone: Madonna, in nero integrale, seduta accanto alla figlia Lourdes; Kate Moss con Lila Grace, madre e figlia che incarnano due generazioni di bellezza; Zoë Kravitz, musa contemporanea di Vaccarello, magnetica nel suo minimalismo; e poi Linda Evangelista, Carla Bruni, Eva Herzigova, Hailey Bieber, fino a Rosé delle Blackpink, la più fotografata della serata. Non è una semplice lista di celebrities: è la rappresentazione plastica di ciò che Saint Laurent continua a significare – un ponte tra moda, musica, cinema e cultura popolare.
E quando il primo look fa il suo ingresso, la tensione tra passato e presente si traduce immediatamente in abito. Vaccarello non ha bisogno di rivoluzioni per imporsi: conosce alla perfezione la grammatica della maison e la ribadisce con coerenza, arricchendola di sfumature che ne rinnovano la forza. La collezione si muove come una variazione sul tema dell’iconico: silhouette a V, spalle scolpite, pelle nera, fiocchi monumentali, ma anche leggerezza inedita, trasparenze calibrate e nylon tecnico che scivola sul corpo come seta contemporanea. È in questo equilibrio tra fedeltà e sottile innovazione che Vaccarello continua a rendere Saint Laurent non solo attuale, ma desiderabile.
Una continuità che diventa desiderio
Vaccarello insiste da anni su pochi codici riconoscibili: la spalla esagerata, il trench come uniforme, il chiodo di pelle come corazza, le camicie annodate da fiocchi oversize che diventano segni teatrali. La collezione SS26 non abbandona questa coerenza, ma la rende nuovamente irresistibile. La silhouette a V, sempre svettante e scolpita, ritorna come architettura portante.
Attorno ad essa si sviluppano variazioni che oscillano tra rigore e teatralità: pencil skirt affilate, abiti-mantella gonfiati dal vento, ruches e balze che si muovono come onde notturne. È un’estetica che si riconosce a colpo d’occhio, eppure non stanca, perché Vaccarello sa trasformare la reiterazione in desiderio.
La scenografia come dichiarazione d’intenti
A suggellare la sfilata, Anthony Vaccarello costruisce un’ambientazione che non è solo scenografia, ma dichiarazione d’intenti. Al centro della pedana compare il celebre logo YSL ideato da Cassandre, non più ridotto alle sole iniziali, ma riproposto nella sua forma originaria, come omaggio diretto al fondatore. A renderlo vivo, una distesa di peonie bianche disposte in maniera millimetrica, un giardino effimero che richiama l’amore di Yves per i fiori e per i suoi spazi privati, in particolare quel giardino parigino che era rifugio e luogo di ispirazione. Le peonie, con il loro profumo intenso e il candore quasi narcotico, diventano metafora di un lusso delicato ma potente, un ponte tra memoria e presente.
A dominare la scena, come quinta teatrale, si staglia la Tour Eiffel. La sua presenza non è un dettaglio accessorio, ma un richiamo all’anima più intima della maison: Parigi, città di contrasti, capitale di moda e seduzione. Illuminata da una luce calda che ricorda quella di un set cinematografico, la Torre non si limita a fare da sfondo, ma avvolge lo spettacolo in un’aura monumentale, trasformando la sfilata in un rito collettivo che lega il pubblico alla città stessa. È come se Saint Laurent si riappropriasse di Parigi, dichiarandola ancora una volta palcoscenico naturale della sua estetica.
In questo intreccio tra giardino e monumento, tra natura effimera e architettura eterna, prende forma la poetica di Vaccarello: da un lato il culto della memoria, dall’altro la tensione verso un’immagine potente e cinematografica. Il risultato è una cornice che amplifica il messaggio della collezione e che ribadisce con forza l’identità di Saint Laurent: un marchio che non vive soltanto di abiti, ma che continua a rappresentare un pezzo imprescindibile della cultura parigina.
Le molte donne Saint Laurent
La collezione prende forma come un racconto corale, popolato da donne che incarnano identità differenti, talvolta opposte, ma accomunate da una stessa tensione drammatica. Anthony Vaccarello non costruisce un’unica figura femminile, bensì una costellazione di archetipi che, pur diversi, convivono nello stesso linguaggio estetico.
C’è l’eroina in pelle nera, figura quasi mitologica, che ricorda le fotografie di Robert Mapplethorpe per la sua fisicità scolpita e potente. Le spalle squadrate, i chiodi strutturati, le pencil skirt affilate: ogni elemento restituisce un’immagine di forza assoluta, quasi marziale. I gioielli oversize, volutamente opulenti, non ammorbidiscono questa presenza, ma ne accentuano la dimensione di potere, trasformando il corpo in un’armatura seducente.
Accanto a lei compare una donna diversa, più borghese nella postura, ma non meno provocatoria nello spirito. Abbandona i completi austeri e le linee severe per lasciarsi avvolgere da trench leggeri, impalpabili, che diventano una seconda pelle. I tessuti tecnici rivelano più di quanto nascondano, e le trasparenze sono calibrate con intelligenza: non eccessi, ma dettagli che insinuano. È un femminile più sottile, meno urlato, ma altrettanto destabilizzante.
Infine, emerge una terza figura, forse la più teatrale: una principessa in fuga, sospesa tra il romanticismo e la ribellione. I suoi abiti si allungano in strascichi che sembrano ipnotizzare con il movimento, le maniche a gigot si gonfiano come vele sotto il vento della notte parigina. È un’immagine di bellezza inafferrabile, quasi cinematografica, che richiama tanto le eroine letterarie quanto le dive di un tempo.
A unire queste figure così diverse è la palette cromatica: il nero lucido, cifra identitaria della maison, viene interrotto da improvvise scariche di colore – smeraldo, magenta, arancio – che arrivano come fendenti luminosi sulla passerella. Sono contrasti volutamente forti, pensati per amplificare la tensione visiva e restituire l’idea di un linguaggio non pacificato, ma vibrante, in costante frizione.
Nylon e leggerezza couture
Il nylon si impone come materiale inatteso e cardine della collezione. Leggero, portatile, apparentemente semplice, diventa protagonista quando si trasforma in abiti-mantella gonfiati dal vento o in trench impalpabili che rivelano la pelle. Vaccarello sceglie un linguaggio che mescola la praticità tecnica con un’eleganza quasi couture: abiti che stanno in una tasca, ma che sul catwalk esplodono in movimenti spettacolari. È un gioco di contrasti che esprime al meglio la filosofia dello stilista: la seduzione nasce dalla tensione tra opposti.
La sensualità malinconica come codice francese
L’intera collezione è pervasa da un’idea di seduzione che appartiene profondamente alla cultura francese. Non si tratta di esibizione esplicita, ma di dettagli che suggeriscono: un soprabito indossato come unico capo, un gioiello barocco che diventa dichiarazione di potere, una camicia maschile che svela una femminilità più audace del previsto.
Vaccarello non tradisce i codici di Yves Saint Laurent: li riconferma, trasformandoli in un linguaggio ancora attuale. È la sensualità malinconica delle notti parigine, sospesa tra il rigore e la provocazione, tra il classico e l’irriverente.
Un finale da cortigiane moderne
La chiusura della sfilata è pensata come un crescendo visivo ed emotivo, un momento in cui la rigidità della costruzione sartoriale lascia spazio alla dimensione del sogno. Le modelle sfilano indossando abiti-mantella dalle proporzioni volutamente esagerate, quasi scultoree, che si muovono in passerella come grandi ali o scenografie portate dal vento. Le superfici non sono rigide ma vivono di materia: ruches e balze, disposte in cascata, amplificano ogni passo trasformando il movimento in spettacolo.
Il materiale scelto, il nylon tecnico, introduce un contrasto sorprendente. Un tessuto associato alla praticità e alla modernità urbana diventa, nelle mani di Vaccarello, veicolo di teatralità e regalità. Non più solo protezione funzionale, ma tessuto capace di evocare atmosfere da corte francese, con un’eleganza quasi settecentesca che però si piega alle esigenze di oggi. È in questa tensione – tra il lusso del passato e l’essenzialità contemporanea – che il finale trova la sua forza narrativa.
L’effetto è quello di un epilogo sospeso tra romanticismo e modernità: una sequenza che ribadisce come Saint Laurent sappia muoversi costantemente su due piani, quello della memoria storica e quello della sperimentazione, unendo in un’unica immagine il rigore della maison e l’immaginario visionario di Vaccarello.
La coerenza di un mito, tra saturazione e desiderio
La collezione Saint Laurent SS26 non cerca di reinventare la leggenda, ma di riaffermarla con la stessa coerenza che ha reso Vaccarello il custode più fedele della maison. Il suo linguaggio resta intatto: rigore nelle linee, sensualità calibrata, teatralità nelle proporzioni. È una formula che conosciamo e che riconosciamo, capace di ipnotizzare ancora il pubblico pur nella sua prevedibilità.
Eppure, in questa stagione, si avverte una sottile saturazione progettuale. Forse perché il percorso di Vaccarello sembra giunto a un punto di compimento, con le voci che già lo vedono vicino alle sue ultime collezioni. Forse perché reiterare con tanta disciplina un vocabolario così riconoscibile inizia a mostrare i suoi limiti. Ma resta il fatto che la ricetta funziona: meno nelle vendite stagionali, forse, ma più che mai nell’immaginario collettivo.
Perché Saint Laurent continua a non conoscere crisi. È il marchio che tutti desiderano, il più amato, quello che trasforma la ripetizione in aspirazione e il déjà-vu in un nuovo oggetto del desiderio. Vaccarello, con lucidità e ostinazione, ribadisce che la forza di una maison non sta nel cambiare direzione a ogni stagione, ma nel rendere eterno un linguaggio. E se è vero che la ricetta vincente non si cambia, la sua Saint Laurent resta la dimostrazione più evidente di questo assioma.




