Il battito della leggerezza: il debutto di Pierpaolo Piccioli e la rinascita del DNA della Maison

L’attesa è finita. Il ritorno di Pierpaolo Piccioli è da Balenciaga, con la collezione Spring/Summer 2026 presentata durante la Paris Fashion Week. Un ritorno che non è solo un debutto in una nuova maison, ma un passaggio epocale: il dialogo tra due mondi apparentemente opposti — la purezza architettonica di Cristóbal Balenciaga e la poesia umanista di Piccioli. In Rue de Sèvres, nell’ex Hôpital Laennec, la moda ha trattenuto il respiro per assistere a un momento destinato a segnare un nuovo inizio.

Il cuore come inizio

L’invito alla sfilata è già un manifesto: un piccolo lettore di cassette contenente il suono di un battito cardiaco. Un gesto semplice, ma potentissimo. Piccioli lo chiama “The Heartbeat” — il battito come ritmo vitale, come promessa di umanità in un mondo che della moda aveva fatto spesso un’arma di distanza. Tutto inizia da lì: dal suono del cuore che riporta il corpo al centro del discorso estetico. È un invito ad ascoltare prima di guardare, a sentire prima di giudicare.

Nella cappella centrale, trasformata in un luogo sospeso, la musica di Sinéad O’Connor — In This Heart — si diffonde come una preghiera sommessa. La luce filtra dalle vetrate e accarezza il pavimento chiaro. Nessun eccesso, nessuna teatralità. L’atmosfera è quella di una liturgia della leggerezza: Piccioli non impone, ma accoglie. Restituisce alla moda un senso di respiro, di pace, di silenzio.

Il metodo dell’aria

Per comprendere questo debutto bisogna dimenticare il clamore e guardare la sostanza. Pierpaolo Piccioli ha passato settimane negli archivi della maison per studiare il linguaggio di Cristóbal Balenciaga, non per copiarlo ma per capirne la logica. Ha scoperto che il segreto del couturier basco non era la decorazione, ma l’aria: quello spazio invisibile tra il corpo e l’abito, dove avviene la libertà.

Da quella intuizione nasce il “metodo dell’aria”. I volumi sono costruiti per stare in equilibrio tra struttura e vuoto; i tessuti — soprattutto il neo-gazar, un doppio intreccio di garza e organza — sostengono la forma senza appesantirla. L’abito diventa architettura morbida, sospesa. Piccioli non disegna per il corpo, ma intorno al corpo. Lo lascia respirare, lo lascia muoversi, lo ascolta. È un approccio radicale, ma gentile. Una rivoluzione silenziosa che restituisce alla couture la sua intelligenza originaria: costruire bellezza attraverso la grazia, non la costrizione.

Le forme del respiro

La collezione si apre con una silhouette pura, quasi monastica: un lungo abito nero che cita il Sack Dress del 1957, reinterpretato con un tessuto tecnico che vibra con la luce. Segue una sequenza di capi che sembrano plasmati dal vento — cappotti ovali con tagli posteriori, gonne ballon che ondeggiano, bluse geometriche che si aprono in pieghe sottili. La linea è pulita ma piena di energia; il movimento è la vera decorazione.

Poi arrivano i colori: un verde chiaro che sembra una foglia bagnata, un rosa cipria impalpabile, un blu profondo e quieto. Ogni tono è pensato per dialogare con la pelle e con la luce. La maglieria tridimensionale, costruita come scultura botanica, avvolge senza stringere. I fiori non sono stampati, ma ricamati in rilievo, come se crescessero dal tessuto stesso. Anche le piume e le paillettes non servono a decorare: servono a far vibrare l’aria, a catturare il respiro.

L’equilibrio tra opposti

Piccioli lavora per sottrazione, ma la sua sottrazione non è minimalismo freddo. È un equilibrio calibrato tra rigore e dolcezza, tra architettura e poesia. Così, al nero lucido della pelle risponde la trasparenza dell’organza; al cappotto a uovo si accosta la semplicità di una camicia di cotone bianco; ai jeans strutturati si abbinano sandali sottili o guanti da sera. Tutto è bilanciato, tutto parla lo stesso linguaggio: un’eleganza che non grida, ma che si fa sentire come un respiro profondo.

Anche gli accessori partecipano alla narrazione: la City Bag ritorna in versione essenziale, quasi grafica, accanto a occhiali dalle linee scultoree e a borse micro in colori lattiginosi. Sono oggetti che non cercano l’iconicità ma l’armonia con l’abito, che si inseriscono nel discorso invece di interromperlo.

La couture come metodo

Ciò che rende speciale questo debutto è che Piccioli non vuole portare la couture dentro Balenciaga come segno di lusso, ma come metodo di lavoro. L’alta moda, per lui, è una disciplina morale: un modo di fare che rispetta il tempo, il gesto, la mano. In questa collezione, la couture diventa un atteggiamento quotidiano. Ogni capo, anche il più semplice, è costruito con una precisione da laboratorio, ma pensato per la vita reale.

È un’idea di bellezza più silenziosa, più civile. La couture non come spettacolo per pochi, ma come forma di empatia universale. Piccioli non disegna solo abiti, ma relazioni: tra il corpo e il tessuto, tra il mestiere e il pensiero, tra la storia e il presente.

Il racconto nuovo

Balenciaga SS26 non è una collezione fatta per stupire. È un racconto di nascita, di ascolto, di delicatezza. Un punto di partenza per un nuovo linguaggio della maison. Piccioli non impone un’estetica: costruisce un metodo. E lo fa con quella calma autorevole che solo i veri couturier possiedono, quelli che sanno che la bellezza non nasce dal clamore ma dalla pazienza.

Quando la sfilata termina, il battito torna a riempire la sala. Non è un effetto sonoro, è un messaggio: la moda può ancora avere un cuore. E in quel suono, limpido e costante, c’è tutto il senso di questa rinascita. Balenciaga ricomincia da qui: dal respiro, dal corpo, dall’aria che li unisce.

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Balenciaga SS26 – i look

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