La moda come motore creativo: oltre i numeri e la finanza
Dopo la fashion week milanese, che ha cercato di reggere il passo di un calendario internazionale sempre più serrato, Parigi ha chiuso la sua settimana della moda con un crescendo di debutti, sorprese e standing ovation. Mai come quest’anno, il calendario parigino ha condensato novità creative in nove giorni intensi, con oltre settanta sfilate che hanno ribadito il ruolo della capitale francese come cuore pulsante della moda globale.
In prima fila non c’erano solo buyer e influencer: persino Brigitte Macron, Première Dame di Francia, ha scelto di presenziare allo show di Louis Vuitton.
Non è un gesto simbolico: in Francia la moda è un vero motore economico, parte integrante del PIL e simbolo della cultura nazionale. In Italia, invece, il settore continua a essere percepito con distacco dalla politica, considerato più un ornamento culturale che un valore strategico. La differenza tra i due Paesi emerge evidente anche nei numeri: mentre Parigi celebra la moda come investimento, Milano la osserva da lontano, spesso senza sostenerla in modo sistemico.
“La moda è diventata una barzelletta”
Non tutte le voci concordano sulla direzione del sistema. Yohji Yamamoto, con il suo consueto sarcasmo, afferma:
“La moda è tutta una questione di soldi. Le grandi aziende corrono dietro alla palla senza pensare ai clienti. Hanno troppi soldi e non devono lavorare sodo. I soldi gli galleggiano addosso.”
Eppure, nelle sue parole esagerate, si cela un fondo di verità. I debutti e le grandi sfilate non sono soltanto espressioni di creatività, ma anche esiti di una finanza che gestisce equilibri complessi: posizioni da riciclare, uffici stile da riorganizzare, investimenti da calibrare. La crisi, ormai sistemica, attraversa tutti i livelli, dalla creatività al mercato fino alla filiera produttiva, e scandali e tensioni quotidiane ne sono il riflesso.
Il debutto come rito: Matthieu Blazy e Chanel
Tra tutti i momenti di Parigi, il debutto più atteso era senza dubbio quello di Matthieu Blazy alla guida creativa di Chanel. Succedendo a Virginie Viard, Blazy affronta una sfida monumentale: dare nuova linfa a una Maison iconica, plasmata prima da Coco Chanel e poi da Karl Lagerfeld, e attualmente in un momento di rallentamento commerciale. Nel 2024, infatti, i ricavi Chanel hanno registrato un calo del 5,3% a tassi correnti, segnando il primo rallentamento delle vendite dal 2020.
Blazy ha scelto di reinventare il tweed, conferendo nuova fluidità al brand con camicie leggere, accessori contemporanei e fiori in movimento che trasformano la tradizione in poesia visiva. La sua collezione non vuole urlare, ma dialogare con la storia della Maison, offrendo un nuovo linguaggio che resta fedele all’essenza senza ripeterla.


La poesia dei debutti: Jonathan Anderson da Dior
Non meno significativo è stato il debutto femminile di Jonathan Anderson da Dior. Dopo il successo della sua prima collezione maschile, già virale su TikTok, Anderson ha scelto un approccio misurato: non cancellare il passato, ma inserirvi la propria voce. La sua collezione è un dialogo tra memoria e invenzione, tra rispetto dell’heritage e sperimentazione.
Ogni capo diventa un esercizio di linguaggio, un ponte tra ciò che è stato e ciò che potrà essere, accolto con una standing ovation che più che un punto d’arrivo segna l’inizio di un percorso.


La rivoluzione silenziosa: Pierpaolo Piccioli e Balenciaga
Tra i momenti più discussi, spicca il debutto di Pierpaolo Piccioli alla guida creativa di Balenciaga. Piccioli non arriva come un rivoluzionario rumoroso, ma come un osservatore attento: ha passato settimane negli archivi della Maison per comprenderne la logica, non per imitarla.
Da questa ricerca nasce il cosiddetto “metodo dell’aria”: un approccio che costruisce volumi sospesi tra struttura e vuoto, dove tessuti leggeri come il neo-gazar sostengono la forma senza opprimerla.
L’abito diventa architettura morbida, un equilibrio tra eleganza e libertà, disegnato attorno al corpo per lasciarlo respirare. La sua è una rivoluzione gentile che restituisce alla couture la sua funzione originaria: costruire bellezza attraverso la grazia, non la costrizione.


Loewe: una nuova grammatica di pelle e colore
Tra i debutti emergenti più attesi della Paris Fashion Week, la prima collezione di Jack McCollough e Lazaro Hernandez per Loewe ha segnato un momento di svolta. I due designer americani, già noti al pubblico internazionale come fondatori di Proenza Schouler, hanno preso le redini della maison spagnola con l’intento di rispettarne l’eredità storica senza rimanere prigionieri del passato. La pelle, cuore dell’artigianato Loewe, diventa terreno di sperimentazione: materiali e volumi vengono reinventati con rigore e precisione, i colori esplodono con forza scenica e la tradizione artigianale dialoga con un linguaggio contemporaneo e personale.
Il debutto del duo non è stata una rivoluzione improvvisa, ma una dichiarazione di intenti chiara e poetica: costruire un nuovo lessico estetico che unisca scultura, matericità e colore, senza tradire la leggerezza e l’eleganza che da sempre distinguono Loewe. La collezione, accolta con una standing ovation, conferma l’ingresso dei due designer nell’Olimpo delle grandi maison europee, segnando l’inizio di una nuova era in cui la sperimentazione convive con il rispetto della storia e della precisione sartoriale.


Debutti emergenti e nuove prospettive
Oltre ai grandi nomi della settimana parigina, la stagione ha visto una serie di debutti emergenti che hanno portato aria nuova e sperimentazione, dimostrando come la moda non sia mai ferma e continui a reinventarsi.
Tra i più attesi, Duran Lantink ha riportato Jean Paul Gaultier al ready-to-wear dopo anni di presentazioni speciali, scegliendo un approccio audace e fuori dagli schemi, che ha sfidato le convenzioni del brand senza mai diventare banale.
Miguel Castro Feritas ha raccolto la sfida di rendere nuovamente desiderabile Mugler, riprendendo l’eredità visionaria di Manfred Thierry Mugler e cercando di provocare il pubblico con proposte forti e concettuali.
Mark Thomas, alla guida creativa di Carven, ha inaugurato un percorso più strutturato e organico, cercando di consolidare l’identità del brand e allo stesso tempo imprimere un’impronta personale.
Infine, Glenn Martens, dopo il successo della couture per Maison Margiela, ha presentato il suo primo ready-to-wear, spostando l’attenzione sui volti del casting e sul concetto generale dello show, più che sui singoli capi, in un gesto di sperimentazione concettuale che ha diviso critica e pubblico.
Questi debutti, pur diversi tra loro per stile e approccio, mostrano un denominatore comune: la voglia di esplorare nuovi linguaggi estetici, di sfidare le convenzioni e di ripensare la moda come esperienza globale. Alcuni momenti sono surreali, altri più rigorosi, altri ancora provocatori, ma tutti contribuiscono a delineare un panorama di audacia, indispensabile per mantenere viva la creatività in un settore in continua evoluzione.
Moda come specchio della società
Si chiude un mese di grandi rinnovamenti tra Milano e Parigi, in cui la moda ha cercato di ripartire dalla creatività, pur in un contesto complesso. La strada davanti è in salita: i brand devono confrontarsi con un pubblico più attento, con priorità mutate e con un mondo segnato da crisi economiche e sociali. Standing ovation e debutti spettacolari da soli non bastano più a restituire fiducia o desiderio, perché la moda oggi non è solo spettacolo, ma specchio della società che la circonda.
In questo scenario, il digitale e i social network hanno creato un nuovo universo in cui ogni gesto, ogni collezione e ogni debutto trova risonanza globale. La moda non è più un monolite chiuso nei suoi atelier: è un ecosistema culturale, un amplificatore che intreccia arte, musica, design, architettura e narrazione visiva. Investire nella moda significa investire nella cultura stessa, sostenere processi creativi che incidono sul futuro di una nazione e sulla capacità di immaginare mondi nuovi.
Ogni standing ovation assume così un significato profondo: non è soltanto applauso per un vestito o per un debutto, ma riconoscimento a chi, tra difficoltà e incertezze, continua a guardare oltre i numeri, oltre la finanza, fino al cuore pulsante della moda: la creatività, l’intelligenza e la bellezza. In un mondo che corre e cambia, la moda resta un faro, un linguaggio che racconta chi siamo e chi vogliamo diventare.


