Il guardaroba come viaggio e rito quotidiano

Michael Rider ha presentato durante la Paris Fashion Week la collezione Celine SS26, confermando la solidità della sua visione e la capacità di dare nuova voce a una maison complessa, stratificata, abitata da memorie forti.

La sua seconda prova alla guida del marchio LVMH si è trasformata in un racconto di stile lucido e coerente, un equilibrio tra archivi e sportswear, pelle e riferimenti equestri, nostalgia e spinta contemporanea.

La passerella si è fatta manifesto di un’estetica Parigina agile, vissuta, capace di coniugare sensualità e pragmatismo con un linguaggio chiaro, ma mai banale.

L’incipit del club: ritmo, leggerezza, precisione

La sfilata si apre con un ritmo controllato, quasi una dichiarazione d’intenti: piccoli cappottini che scivolano sopra micro abiti, culotte a vista, gambe libere e movimenti sicuri. È un avvio di leggerezza che definisce il tono dell’intera collezione. Le borse — schierate come emblemi — diventano subito il centro della narrazione.

Tra tutte, il ritorno della Phantom segna una connessione immediata con il passato della maison, ripensata però in chiave più flessibile, da vita reale. Rider costruisce un’atmosfera da “Celine club”, fatta di ritmo, modernità e senso di appartenenza, in cui ogni pezzo sembra pensato per un’esistenza dinamica, in continuo movimento tra spazi e orari.

Quando la moda diventa memoria: il cammino senza fine di CELINE

La collezione CELINE è stata concepita come una naturale continuazione del passato. Come afferma Michael Rider:

«Abbiamo visto questa collezione come una continuazione, come se lo show di luglio non fosse mai realmente finito. Le donne e gli uomini continuavano a camminare e le stagioni cambiavano. Stavamo riflettendo su cosa sia CELINE e cosa non lo sia. Pensavamo ai momenti felici, alla leggerezza e al calore dell’estate. La tensione tra discrezione e mostrare la pelle. Alle cose che durano e alle cose che sono solo un momento. E a come vestiti, scarpe e tutto il resto diventino parte dei ricordi che creiamo indossandoli.»

Il designer sottolinea l’idea di continuità e fluidità temporale nella moda. La collezione non è solo una serie di capi stagionali, ma un proseguimento del percorso creativo e delle esperienze già raccontate nello show di luglio.

Rider riflette su leggerezza, momenti felici, la calda estate e la tensione tra discrezione e mostrare la pelle. I vestiti e accessori non sono semplici oggetti, ma parte integrante dei ricordi che costruiamo indossandoli: elementi che possono durare nel tempo pur catturando l’effimero di ogni momento.

L’archivio come materia viva

Uno dei meriti di Rider è quello di saper usare l’archivio come materia viva, non come reliquia. Capi storici si intrecciano a elementi contemporanei, dando vita a un linguaggio immediatamente riconoscibile. I trench coat oversize si alternano a completi in denim e giacche sartoriali dal taglio deciso.

Le camicie in seta si portano aperte, i foulard diventano strumenti di costruzione dell’outfit, mentre il little black dress, punto fermo della maison, trova nuova linfa grazie a tagli diagonali, scolli asimmetrici e micro dettagli metallici. Tutto si muove con un’eleganza istintiva, “effortless”, che è la cifra di Rider: una moda che non ha bisogno di dichiararsi per esistere.

L’equestre urbano: la disciplina come libertà

Il riferimento equestre attraversa la collezione come un’eco lontana, un codice rivisitato in chiave metropolitana. I caschi logati, a metà tra accessorio biker e richiamo al polo club, raccontano una femminilità forte ma non rigida. La pelle — morbida, lucida, destrutturata — si combina con il nylon tecnico, mentre stivali in suede si alternano a sneakers ultraflat color burro.

Tutto gioca su un contrasto calibrato tra libertà e controllo, dinamismo e misura. È un’eleganza che nasce dalla vita attiva, non dal formalismo, e che celebra la possibilità di sentirsi perfetti anche nell’imperfezione del quotidiano.

Il corpo come costruzione: silhouette e volumi

Nella sfilata, il corpo è il centro attorno a cui tutto ruota. Le silhouette si alternano tra volumi ampi e linee sottili, in un gioco di bilanciamenti che evita l’eccesso e ricerca la naturalezza. I pantaloni skinny, cifra inconfondibile di Slimane, convivono accanto a gonne fluide e long dress stratificati, indossati con disinvoltura sopra pantaloni morbidi.

Le righe multicolor, le paillettes sparse e i giochi di trasparenze aggiungono un tocco di ironia e leggerezza. Rider riesce a costruire un dialogo tra struttura e movimento, mostrando come la sensualità possa essere pensata anche attraverso la misura, la fluidità, la libertà del gesto.

Gli accessori come dichiarazione d’identità

Nel lessico di Celine, l’accessorio non è un complemento, ma un elemento narrativo. Rider lo sa bene e lo celebra con rigore: le borse tornano protagoniste, declinate in nuove combinazioni cromatiche e materiali morbidi che seguono il corpo. Accanto alla Phantom, spiccano tote bag dal design essenziale e bauletti geometrici in pelle nera e color block.

Le sneakers a stivaletto, già viste nella scorsa stagione, ritornano in nuance neutre, mentre la bigiotteria si moltiplica in strati: collane tribali, bracciali rigidi, orecchini sottili come fili di luce. Ogni dettaglio sembra costruito per accompagnare, non per dominare, creando un equilibrio tra funzionalità e desiderio.

L’identità in movimento: chi veste Celine oggi?

La collezione SS26 parla a una generazione che non vuole scegliere tra comfort e stile, tra tradizione e sperimentazione. La donna e l’uomo Celine sono viaggiatori urbani, persone che abitano la città come uno spazio fluido, in cui lavoro, tempo libero e scoperta si mescolano naturalmente.

Rider veste la contemporaneità senza forzarla: crea una “divisa” che permette libertà di interpretazione, costruendo un linguaggio condiviso ma mai uniforme. La collezione non impone, ma accompagna, lasciando spazio al carattere individuale di chi la indossa.

Un nuovo equilibrio per Celine

Con la collezione SS26, Michael Rider consolida la sua visione di Celine e mette a punto un equilibrio che molti credevano irraggiungibile. Non sceglie tra i due poli che hanno segnato la storia recente della maison — l’intellettualità di Phoebe Philo e la sensualità affilata di Hedi Slimane — ma li intreccia, trovando una voce personale e coerente.

Il risultato è un nuovo modo di intendere l’eleganza parigina, forse fin troppo parigina nella sua perfezione. Ogni look sembra costruito con quella misura calibrata e quella disinvoltura controllata che appartengono solo alla capitale francese: un’eleganza che non si lascia mai andare del tutto, che preferisce il gesto sottile all’esibizione, la precisione al rischio. È una moda impeccabile, quasi cristallizzata nella sua raffinatezza, che conquista per rigore e consapevolezza ma rischia talvolta di apparire trattenuta, protetta dal suo stesso equilibrio.

I capi non cercano di stupire con eccessi o teatralità, ma con la loro funzionalità elegante: si adattano al ritmo del giorno, al passaggio tra lavoro e tempo libero, al viaggio e alla città. È una moda che non detta un ruolo, ma accompagna chi la indossa, come un riflesso naturale del suo modo di muoversi. Tuttavia, dietro la sua compostezza, si percepisce una tensione interessante — quasi un desiderio di rompere il perimetro della classicità e lasciare entrare un soffio di imperfezione.

In questa misura controllata, Celine ritrova se stessa, ma lascia anche intravedere la prossima sfida di Rider: spingersi un po’ oltre quella perfezione parigina, e restituirle un respiro più universale, più vissuto, più umano.

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Celine SS26 – i look

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