NATURA MORTA. Jago e Caravaggio

A Milano, un dialogo tra arte antica e contemporanea: due visioni sulla caducità della vita

Jago e Caravaggio protagonisti a Milano in una mostra che, tra le sale austere e ricche di storia della Veneranda Biblioteca Ambrosiana, apre dall’8 maggio al 4 novembre 2025 un dialogo tra due mondi lontani nel tempo, ma sorprendentemente affini nel linguaggio espressivo e nella potenza simbolica.

La mostra “Natura Morta”, a cura di Maria Teresa Benedetti, accoglie l’opera inedita dello scultore Jago, artista contemporaneo tra i più incisivi e riconosciuti a livello internazionale, in diretto confronto con uno dei capolavori assoluti del Seicento italiano: la Canestra di frutta di Caravaggio.

L’iniziativa, parte del percorso di apertura dell’Ambrosiana all’arte contemporanea, non è una semplice esposizione, ma un confronto visivo e concettuale che scava nel tema antico e universale della caducità della vita. Il termine “natura morta”, spesso relegato a genere artistico decorativo, acquista qui una forza drammatica e una risonanza tragicamente attuale.

Un cesto pieno di vita, un cesto pieno di morte

Da una parte, la Canestra di Caravaggio, dipinta intorno al 1597, colpisce per la sua straordinaria verosimiglianza: frutti maturi, foglie ingiallite, piccoli insetti che ne accentuano il senso di decadimento. È una natura vera, non idealizzata, resa con un realismo crudele che celebra la bellezza effimera e, al contempo, ne denuncia la fragilità. La frutta, come la vita, si consuma, marcisce, scompare.

Dall’altra, Jago risponde con un’opera altrettanto realistica ma dirompente nel contenuto: un cesto scolpito nel marmo non colmo di frutti, bensì di armi. Pistole, mitragliatori, fucili si accumulano come oggetti da esposizione, simboli di un’epoca in cui la morte è divenuta prodotto industriale, consumo seriale, spettacolo quotidiano.

Il marmo statuario, materiale nobile della tradizione classica, sottolinea il paradosso: la perfezione formale applicata a strumenti di distruzione. Jago riflette così sulla violenza silenziosa della società contemporanea, che si esprime non solo nei conflitti armati ma anche nei gesti quotidiani di esclusione, dominio e indifferenza. Il cesto diventa metafora del presente: non più portatore di vita, ma contenitore di un’umanità contaminata.

Caravaggio e Jago: due visioni, una stessa domanda

Il dialogo tra le due opere non è solo visivo ma filosofico. Entrambe raccontano la finitudine, la fragilità, il tempo che consuma. Ma se Caravaggio lo fa attraverso la simbologia naturale, Jago lo esplicita con la brutalità del contemporaneo. Dove l’uno mostra il decadimento come fenomeno naturale, l’altro rivela una decadenza morale e sociale.

Il risultato è una riflessione sull’eredità dell’arte e sul suo potere di interrogare, disturbare, scuotere. La “natura morta” non è più soltanto un soggetto pittorico, ma una domanda aperta sulla natura dell’uomo oggi. La scelta di esporre l’opera di Jago all’Ambrosiana, accanto ai grandi maestri del passato, rafforza questa continuità e insieme rottura.

Jago e Caravaggio: l’arte come denuncia e memoria

Il progetto espositivo è accompagnato da un catalogo, realizzato in collaborazione con Arthemisia ed edito da Moebius, che approfondisce sia il percorso creativo di Jago sia il contesto storico-artistico della Canestra di Caravaggio. Al centro della mostra si impone la tensione tra due visioni: da un lato la bellezza fragile e caduca della natura, dall’altro la rovina resa manifesta attraverso la potenza simbolica della scultura contemporanea.

La natura non idealizzata di Caravaggio diventa così il punto di partenza per una riflessione più ampia, che Jago traduce in una denuncia visiva sulla violenza e sull’alienazione del presente. La Veneranda Biblioteca Ambrosiana accoglie questa operazione con piena consapevolezza del suo valore culturale e civile: un incontro tra passato e presente che rinnova il linguaggio dell’arte, dando forma a una critica lucida e profondamente attuale.

Un’opera, un tempo, una società

Con “Natura Morta”, Jago prosegue un percorso artistico e civile che lo ha portato a installare le sue opere in spazi pubblici, contesti urbani e persino su navi impegnate nel salvataggio dei migranti. La sua è una scultura che non si rifugia nel museo, ma che cerca l’urgenza del mondo, lo attraversa, lo interroga. E in questo caso, sceglie il luogo simbolico della cultura milanese per un dialogo serrato con il passato e con le nostre coscienze.

Una mostra da vedere, da ascoltare, da meditare. Perché anche nell’arte ciò che sembra fermo e silenzioso può urlare verità scomode.

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