Moda e Intelligenza Artificiale

La nuova musa è artificiale: moda, AI e il ritorno dei vecchi canoni

Moda e intelligenza artificiale: un binomio sempre più attuale, destinato a ridefinire confini, linguaggi e processi creativi. L’arrivo dell’AI nel panorama fashion ha inaugurato una nuova fase di sperimentazione visiva e narrativa. Ma non senza sollevare perplessità e critiche.

È notizia recente la pubblicazione su Vogue America di due pagine pubblicitarie che ritraggono una modella interamente generata con intelligenza artificiale. La figura, firmata da Seraphinne Vallora, incarna uno specifico ideale estetico: capelli biondi e fluenti, pelle candida priva di imperfezioni, occhi chiari e sorriso smagliante. Un’immagine impeccabile, ma anche altamente costruita.

La campagna, commissionata da Guess, vede la modella indossare un abito lungo a zig zag beige e nero, con borsa tono su tono e sandali con tacco. In una posa classica, la figura poggia la mano sul fianco, mentre l’inquadratura esalta la texture del tessuto. In una seconda immagine, la modella AI è seduta al tavolo. Indossa una tutina floreale abbinata a una parure di gioielli a forma di cuore, con un’espressione ancora più sorridente.

vogue-america-adv-guess-ai
Vogue America adv Guess, ai by Seraphinne Vallora

L’intelligenza artificiale nella moda: una relazione in evoluzione

Il rapporto tra moda e tecnologia non è nuovo. Negli ultimi anni, l’intelligenza artificiale ha trovato spazio anche nel settore fashion e beauty, con esperimenti visivi e collaborazioni creative. Una tra le prime campagne significative è quella di Etro, diretta da Marco De Vincenzo per la collezione Spring/Summer 2024, in collaborazione con la digital artist Silvia Badalotti. Il progetto esplora il concetto di “Nowhere”, un luogo sospeso tra reale e virtuale.

In quel caso, l’AI è utilizzata come strumento creativo, a supporto del team di design, senza suscitare grandi polemiche. Diversamente, la campagna Guess x Vogue segna un momento di rottura. Le due immagini, ideate da Valentina Gonzalez e Andreea Petrescu su commissione di Paul Marciano, hanno sollevato interrogativi ben più ampi.

etro-adv-campaign-ss24-ai
Etro SS24

L’estetica AI e la crisi della body positivity

Il dibattito si è acceso con estrema rapidità, alimentato tanto dai social quanto dalle principali testate di settore. La questione sollevata è profonda e complessa: stiamo davvero entrando in una nuova era degli standard estetici? E se sì, quali saranno le conseguenze, culturali e psicologiche, nel momento in cui l’ideale di bellezza promosso non è più semplicemente difficile da raggiungere, ma letteralmente impossibile, in quanto non umano?

La modella virtuale protagonista della campagna Guess x Vogue incarna un’estetica ultraclassica, quasi da manuale: capelli biondi perfettamente acconciati, lineamenti simmetrici, pelle diafana senza il minimo difetto, curve accentuate ma proporzionate, sorriso ampio e patinato. Un’immagine che sembra scolpita nella perfezione algoritmica, priva di qualsiasi segno del tempo, della fatica o dell’unicità che definisce un volto reale.

Una bellezza levigata, standardizzata, costruita per sedurre ma anche per omologare. Un archetipo estetico che riporta la moda indietro nel tempo, cancellando in un click anni di conquiste sulla rappresentazione dell’autenticità, della diversità e dell’inclusività.

E proprio qui nasce la frattura: in un momento storico in cui la moda si impegna pubblicamente a rappresentare ogni corpo, ogni identità, ogni sfumatura dell’essere, proporre una figura artificiale così perfetta da essere inumana appare come un passo falso. Non è solo una questione tecnica o creativa. È un segnale culturale potente. Uno scivolamento verso un immaginario estetico che – ancora una volta – esclude, uniforma e idealizza.

Il punto di vista delle fondatrici: “L’AI è uno strumento complementare”

Gonzalez e Petrescu, fondatrici del progetto creativo dietro la modella AI, difendono con decisione il proprio operato. Secondo loro, l’intento non è mai stato quello di sostituire figure professionali reali, ma piuttosto di affiancarle, ampliando le possibilità narrative e visive del brand. Il processo di realizzazione, spiegano, coinvolge comunque modelle in carne e ossa, fotografi e stylist, al fine di osservare la vestibilità dei capi e tradurre al meglio la realtà nel linguaggio visivo digitale.

Una posizione che punta a raccontare l’intelligenza artificiale non come minaccia, ma come strumento. Eppure, il dibattito pubblico non si placa. Al centro delle critiche c’è anche la trasparenza comunicativa del marchio Guess, reo – secondo molti – di aver segnalato l’uso dell’AI con una dicitura estremamente discreta, posizionata in un angolo poco visibile della pagina.

Un dettaglio tutt’altro che marginale. Nell’epoca della manipolazione dell’immagine, distinguere tra reale e generato artificialmente richiede consapevolezza e chiarezza. Quando il contenuto è costruito con strumenti altamente professionali e raffinati, la linea di confine diventa sottile. Per questo, molti osservatori chiedono maggiore responsabilità nella comunicazione e una più chiara etichettatura dei contenuti AI-driven.

Tra realtà e finzione: il confronto con design e architettura

Il dialogo tra reale e virtuale non riguarda solo la moda, ma attraversa da anni discipline affini come l’architettura e il product design. In questi ambiti, la rappresentazione digitale ha trasformato radicalmente il modo in cui percepiamo lo spazio, la forma e, soprattutto, l’estetica.

I render architettonici, ad esempio, non si limitano a visualizzare edifici: costruiscono veri e propri immaginari. Cieli sempre al tramonto, alberi rigogliosi, superfici immacolate, persone rilassate nei giardini. La vita che vi si inscena è idealizzata, sospesa in un equilibrio visivo che raramente si ritrova nei progetti realizzati. È una bellezza costruita, pensata per sedurre, vendere, emozionare. Ma anche per distogliere lo sguardo da elementi meno attraenti: il grigio del cemento, il traffico, il rumore.

Lo stesso vale per il design d’interni. Le case appaiono ariose, invase da una luce perfetta, con proporzioni rarefatte e arredi iconici inseriti in spazi sognanti. Ambienti che spesso esistono solo nella dimensione digitale, inaccessibili alla maggior parte delle persone, ma capaci di influenzare in profondità i gusti, i desideri, le aspettative.

Oggi, anche la moda si muove lungo questo stesso asse. La campagna Guess, attraverso l’uso di una modella generata dall’intelligenza artificiale, non presenta solo un abito, ma propone un ideale estetico. Un’estetica levigata, ipercontrollata, priva di imperfezioni o di segni del vissuto. Un’immagine potente e seducente, ma anche lontana, inaccessibile, quasi aliena.

La questione non riguarda la creatività o la tecnica, bensì la responsabilità dell’immaginario. Perché quando il virtuale diventa la nuova norma visiva, il rischio è quello di costruire una distanza sempre maggiore tra la rappresentazione e la realtà delle persone.

Intelligenza artificiale, robot e metaverso: le nuove frontiere della moda

Oltre all’intelligenza artificiale, la moda guarda con crescente interesse ad altre tecnologie emergenti, spingendosi verso confini sempre più fluidi tra fisico e digitale. Tra le sperimentazioni più audaci spicca l’uso dei robot umanoidi, che stanno iniziando a fare il loro ingresso anche sulle passerelle. Emblematico, in questo senso, il caso della sfilata firmata Morabito, che ha portato sulla catwalk Ameca, uno dei robot più avanzati al mondo per espressività e interazione.

Un gesto fortemente simbolico, che non si limita a stupire. Al contrario, apre un dialogo profondo e provocatorio sul concetto stesso di identità, mettendo a confronto l’organico e il sintetico, il programmato e l’imprevedibile. In passerella, il robot diventa specchio dell’evoluzione umana, ma anche della sua trasfigurazione, evocando una riflessione quasi esistenziale su cosa significhi oggi “essere presenti”.

morabito-milano-fashion-week-ameca
Ameca – Fashion Show by Morabito

Parallelamente, il metaverso si afferma come un nuovo scenario creativo per i brand di moda. Pioniera in questo contesto è Dolce & Gabbana, che ha preso parte alla prima Metaverse Fashion Week ospitata su Decentraland, in collaborazione con la piattaforma UNXD. Per l’occasione, Domenico Dolce e Stefano Gabbana hanno realizzato 20 look digitali esclusivi, indossabili unicamente nel mondo virtuale.

La collezione, progettata per celebrare la fusione tra heritage sartoriale e innovazione tecnologica, è stata presentata in un pop-up immersivo situato nel Luxury Fashion District del metaverso. I capi, disponibili solo per i membri della community DGFamily, rappresentano un’evoluzione naturale dell’identità del brand, che attraverso gli NFT si espande in una nuova dimensione di appartenenza, accesso esclusivo e collezionismo digitale.

Con questa iniziativa, Dolce & Gabbana non si limita a esplorare nuovi linguaggi: sancisce ufficialmente la propria presenza nel Web3 e inaugura una nuova era di interazione tra moda, lusso e cultura digitale.

metaverso-dolce-gabbana
Metaverso by Dolce & Gabbana

Vogue, bellezza e il rischio di un passo indietro

Negli ultimi anni, Vogue si è impegnata nel promuovere una narrazione più inclusiva del corpo femminile, sostenendo la diversità e accogliendo le istanze del movimento body positive. Attraverso shooting, editoriali e copertine dedicate a modelle curvy, donne non bianche, corpi maturi o semplicemente reali, la testata ha cercato di spostare il centro della bellezza verso territori più autentici e rappresentativi.

Tuttavia, l’introduzione di modelli generati dall’intelligenza artificiale, perfetti nella forma e privi di ogni imperfezione, rischia di minare quel delicato processo di apertura. L’algoritmo, addestrato su milioni di immagini, sembra restituire una visione estetica standardizzata e levigata, che ripropone gli stessi archetipi da cui la moda contemporanea tenta da anni di allontanarsi.

Ancora una volta, il corpo femminile viene filtrato, ripulito, adattato a parametri rigidi e spesso irrealistici. Un corpo “giusto” solo se conforme, omologato, simmetrico. Un ideale di bellezza che non tiene conto della complessità, dell’individualità, delle storie che ogni corpo reale porta con sé.

La moda, invece, dovrebbe essere uno spazio di espressione autentica, di pluralità narrativa, di libertà creativa. Un linguaggio capace di accogliere tutte le forme dell’identità, non un generatore di nuove ansie estetiche.

Ecco perché l’utilizzo non critico dell’AI rischia di diventare un amplificatore delle fragilità culturali che il settore fatica ancora a superare. Se non governata da una direzione creativa consapevole e responsabile, l’innovazione può trasformarsi in un ulteriore filtro, più che in una lente d’ingrandimento sulla realtà.

La vera rivoluzione digitale, in ambito fashion, non dovrebbe consistere nella perfezione tecnica dei corpi artificiali, ma nella capacità di rappresentare l’imperfezione reale come un valore estetico e sociale. Solo così l’intelligenza artificiale potrà davvero servire la moda — e non dominarla.

La vera sfida: cambiare visione prima ancora dello strumento

Il problema non è la tecnologia in sé, ma il modo in cui viene impiegata. L’intelligenza artificiale, per quanto sofisticata, non è autonoma nei suoi intenti: agisce su indicazione, su prompt testuali che traducono visioni, aspettative, desideri.

Se l’input che forniamo riproduce vecchi canoni di bellezza, il risultato sarà inevitabilmente un’immagine che riflette lo stesso immaginario: standardizzato, convenzionale, prevedibile.

È qui che si inserisce la vera sfida. Il cambiamento non può essere solo tecnico, ma profondamente culturale. Dobbiamo rieducare lo sguardo, ma soprattutto ridefinire il linguaggio che utilizziamo per chiedere alla tecnologia di rappresentare il mondo.

Non serve un filtro estetico più performante. Serve un filtro critico. Un approccio consapevole e responsabile che metta al centro l’etica della rappresentazione, l’inclusività, l’autenticità.

Solo così l’AI potrà davvero diventare uno strumento al servizio della creatività e non un mezzo per replicare – in alta definizione – i limiti del passato.

Oltre il filtro: una nuova consapevolezza estetica

Nel panorama attuale, diventa imprescindibile sviluppare la capacità di distinguere con chiarezza tra contenuto reale e contenuto artificiale. Solo attraverso questa consapevolezza critica possiamo evitare di alimentare un sistema che, già fragile, rischia di deteriorarsi ulteriormente.

L’intelligenza artificiale possiede un potenziale straordinario per ampliare le forme di rappresentazione e rinnovare i linguaggi estetici. Tuttavia, questo potenziale si realizza pienamente soltanto se l’AI viene impiegata con responsabilità, visione strategica e profondità culturale.

La moda, da sempre specchio e motore delle trasformazioni sociali, ha davanti a sé l’opportunità di guidare questo cambiamento epocale. Di riscrivere l’immaginario collettivo, sfidando stereotipi e canoni obsoleti, con coraggio, innovazione e una autentica inclusività.

Per riuscirci, però, è necessario un primo passo imprescindibile: trasformare lo sguardo. Cambiare radicalmente il modo in cui osserviamo e interpretiamo la realtà, ma soprattutto il messaggio che vogliamo trasmettere.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Carrello
Torna in alto