Come i grandi brand innovano nel post covid
Durante i giorni tumultuosi della pandemia globale, ricordiamo tutti come le aziende di moda come Armani e Gucci hanno intrapreso iniziative audaci per rispondere alla sfida senza precedenti che il COVID-19 ha posto all’industria della moda.
Mentre il mondo si adattava a nuove realtà sociali ed economiche, questi brand si sono distinti per le loro prospettive innovative e la nascita dell’artigianato 2.0.
Attraverso l’ausilio di lettere o appunti sinceri, Giorgio Armani e Alessandro Michele (ex art director Gucci) hanno condiviso riflessioni intime e progetti di trasformazione che hanno segnato un importante spartiacque nell’approccio alla moda.
Questi appelli hanno spazzato via il vecchio modello di ciclo di produzione accelerato. Hanno sollevato questioni fondamentali riguardanti la sostenibilità, l’autenticità e l’artigianato nel settore della moda.
Nel suo discorso senza mezzi termini, Giorgio Armani ha gettato l’accento su un aspetto fondamentale che molti negli ambienti della moda stavano iniziando a considerare: l’urgenza di interrompere il ciclo caotico del fast fashion.
L’incessante produzione di collezioni e l’effimero delle tendenze stanno conducendo a uno spreco di risorse insostenibile. Il suo appello alla durabilità e all’eleganza senza tempo rappresenta una critica al concetto di moda usa e getta, spingendo per un cambiamento radicale.
Il suo appello ha aperto le porte alla nascita dell’artigianato 2.0.


Lettera Giorgio Armani durante la pandemia nel 2020
“Il declino del sistema moda, per come lo conosciamo, è iniziato quando il settore del lusso ha adottato le modalità operative del fast fashion con il ciclo di consegna continua, nella speranza di vendere di più…Io non voglio più lavorare così, è immorale.
Non ha senso che una mia giacca, o un mio tailleur vivano in negozio per tre settimane, diventino immediatamente obsoleti, e vengano sostituiti da merce nuova, che non è poi troppo diversa da quella che l’ha preceduta. Io non lavoro così, trovo sia immorale farlo.
Ho sempre creduto in una idea di eleganza senza tempo, nella realizzazione di capi d’abbigliamento che suggeriscano un unico modo di acquistarli: che durino nel tempo.
Per lo stesso motivo trovo assurdo che durante il pieno inverno, in boutique, ci siano i vestiti di lino e durante l’estate i cappotti di alpaca, questo per il semplice motivo che il desiderio d’acquisto debba essere soddisfatto nell’immediato.
Chi acquista i vestiti per metterli dentro un armadio aspettando la stagione giusta per indossarli?
Nessuno, o pochi, io credo. Ma questo sistema, spinto dai department store, è diventata la mentalità dominante. Sbagliato, bisogna cambiare, questa storia deve finire.
Questa crisi è una meravigliosa opportunità per rallentare tutto, per riallineare tutto, per disegnare un orizzonte più autentico e vero. Basta spettacolarizzazione, basta sprechi.
Da tre settimane lavoro con i miei team affinché, usciti dal lockdown, le collezioni estive rimangano in boutique almeno fino ai primi di settembre, com’è naturale che sia.
E così faremo da ora in poi. Questa crisi è anche una meravigliosa opportunità per ridare valore all’autenticità: basta con la moda come gioco di comunicazione, basta con le sfilate in giro per il mondo, al solo scopo di presentare idee blande. Basta intrattenere con spettacoli grandiosi che oggi si rivelano per quel che sono: inappropriati, e voglio dire anche volgari.
Basta con le sfilate in tutto il mondo, fatte tramite i viaggi che inquinano.
Stop con gli sprechi di denaro per gli show, sono solo pennellate di smalto apposte sopra il nulla.
Il momento che stiamo attraversando è turbolento, ma ci offre la possibilità, unica davvero, di aggiustare quello che non va, di togliere il superfluo, di ritrovare una dimensione più umana…Questa è forse la più importante lezione di questa crisi.”
Riflessioni e Rivoluzioni: Il Diario di Alessandro Michele durante la Pandemia del 2020
Anche Alessandro Michele ex art director di Gucci, nel condividere i suoi appunti, ha rivelato un desiderio simile di riavvicinarsi alle radici della creatività, spogliandosi delle pressioni del calendario delle sfilate.


Con intima sincerità, il Direttore Creativo Alessandro Michele condivide con la Gucci Community le pagine scritte nella sua casa di Roma durante gli ultimi mesi.
ROMA 29 MARZO, 2020 -‐ CI SIAMO SCOPERTI PICCOLA COSA
In questi giorni di confinamenti, dentro un tempo sospeso che fatichiamo a immaginare libero, provo a interrogarmi sul senso del mio agire.
E’ un’interrogazione per me vitale e urgente, che mi obbliga a un ascolto sottile, a un sostare attento. E’ il tentativo di nominare, con la precisione dell’amore, le mie paure e i miei desideri.
La possibilità di sfidare l’afasia che ogni trauma impone. In fondo, la tragedia che stiamo vivendo sta aprendo nuovi spazi di riflessione. Non avremmo mai potuto immaginare di poterci sentire così legati alla vita da un vincolo di tremore e di tenerezza straziante.
Non avremmo mai potuto pensare di ricontattare, in maniera così profonda, la fragilità del nostro destino creaturale. Il nostro bisogno di reciprocità. Ci siamo scoperti piccola cosa. Un miracolo di niente.
Abbiamo soprattutto capito di essere andati fuori misura. Le nostre azioni spregiudicate hanno incendiato la casa che abitiamo. Ci siamo creduti altro rispetto alla natura, più furbi e onnipotenti. L’abbiamo addomesticata, dominata, ferita. Abbiamo scatenato Prometeo, e sepolto Pan. Quanta superbia ci ha fatto smarrire la sorellanza con le farfalle, i fiori, gli alberi e le radici.
Quanta spregiudicata avidità ci ha fatto perdere l’intesa e la cura, la connessione e l’appartenenza. Abbiamo terremotato la sacralità della vita, dimentichi del nostro essere specie. Alla fine, ci è mancato il respiro.
ROMA 7 APRILE, 2020 -‐ SU CIÒ CHE NON VORREMMO TORNASSE UGUALE
Oggi che la devastazione ci ha trovato impreparati, dobbiamo poter riflettere su ciò che non vorremmo tornasse uguale. Perché il rischio più grande, per il nostro domani, è quello di abdicare ad ogni reale e necessaria discontinuità. La nostra storia è, purtroppo, costellata da crisi che non ci hanno insegnato nulla.
Crolli economici e devastazioni sociali che sono state affrontate imponendo le stesse ricette che le avevano generate. Ferite che non hanno avuto la capacità di rigenerare il pensiero.
Lutti che non abbiamo saputo abitare per cambiare noi stessi e i nostri rapporti. Questa crisi rappresenta, dunque, un banco di prova fondamentale.
Prova nel senso di dolore, fatica, pericolo. Ma anche nel senso di valutazione e giudizio.
Perché è proprio nel dolore che abbiamo la possibilità di guardare criticamente al nostro recente passato. All’elenco di debiti, di incomprensioni, di stonature, di errori. Ai passi falsi e all’incoscienza. Alla mancanza assordante di pensieri che non abbiamo avuto il coraggio di formulare. Questo presente consegna, dunque, ad ognuno di noi delle responsabilità importanti.
Ciascuno può esercitarle, rispetto al proprio ruolo e al proprio agire, per contribuire a una costellazione di cambiamenti molecolari e diffusi.
Nel mio piccolo, avverto impellente la necessità di cambiare molte cose del mio lavoro. In fondo l’inclinazione al cambiamento ha sempre contraddistinto la mia vita professionale, marcandola con una naturale e gioiosa irrequietezza creativa. Ma questa crisi è come se avesse amplificato tale urgenza trasformativa, rendendola non più differibile.
ROMA 27 APRILE, 2020 – IL MOVENTE DI UNA SCELTA
Il cambiamento che immagino passa innanzitutto attraverso la capacità di ricontattare le ragioni più profonde che mi hanno spinto ad entrare nel mondo della moda. Sento il bisogno di rinnovare un patto, depurando l’essenziale dal superfluo. Avverto la necessità di riaccostarmi, in maniera autentica, al movente di una scelta. A quell’insieme di motivi che hanno costruito il mio andare. Ho capito, nel tempo, che questi motivi hanno nomi e intensità diverse, ma si addensano tutti fatalmente intorno ad una stessa urgenza: la possibilità di raccontare. E’ questa possibilità, così ancestrale e potente, che mi ha sempre permesso di costruire varchi espressivi, di dare spazio a quel nucleo di inesprimibile che agita i miei sogni, di celebrare la nostalgia dell’imperfezione, di omaggiare la bellezza che fiorisce di forma in forma. E’ questa possibilità che mi consente di afferrare, con morsi d’infinito, il quotidiano innamoramento dell’esistenza.
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ROMA 2 MAGGIO, 2020 – UN NUOVO UNIVERSO CREATIVO
Sto realizzando, tuttavia, che questa possibilità di raccontare non può essere costretta dalla tirannia della velocità. Oggi sappiamo che era troppo furioso il nostro fare, troppo insidiosa la nostra corsa. E’ in questa rinnovata consapevolezza, che sento l’esigenza di un tempo mio, svincolato da scadenze etero-‐imposte che rischiano di mortificare la creatività.
Un tempo capace di sostare in attesa, di attraversare con lentezza anche il dono dell’inoperosità.
Tempo che sappia far respirare la promessa di un’epifania e che sappia indugiare sul sogno, sul gioco, sulla prefigurazione.
Un tempo quanto mai necessario per costruire nuove e più potenti narrazioni. Per questo ho deciso di costruire un percorso inedito, lontano dalle scadenze che si sono consolidate all’interno del mondo della moda e, soprattutto, lontano da una performatività ipertrofica che oggi non trova più una sua ragion d’essere.
E’ un atto di fondazione, audace ma necessario, che si pone l’obiettivo di edificare un nuovo universo creativo. Un universo che si essenzializza nella sottrazione di eventi e si ossigena nella moltiplicazione di senso.
ROMA 3 MAGGIO, 2020 – IL SACRO POTERE DI PRODURRE RIVERBERI
Nel mio domani, abbandonerò quindi il rito stanco delle stagionalità e degli show per riappropriarmi di una nuova scansione del tempo, più aderente al mio bisogno espressivo. Ci incontreremo solo due volte l’anno, per condividere i capitoli di una nuova storia. Si tratterà di capitoli irregolari, impertinenti e profondamente liberi.
Saranno scritti mescolando le regole e i generi. Si nutriranno di nuovi spazi, codici linguistici e piattaforme comunicative. Non solo. Mi piacerebbe abbandonare l’armamentario di sigle che hanno colonizzato il nostro mondo: cruise, pre-fall, spring-summer, fall-winter.
Mi sembrano parole stantie e denutrite. Sigle di un discorso impersonale, di cui abbiamo smarrito il senso. Contenitori che si sono progressivamente staccati dalla vita che li aveva generati, perdendo aderenza con il reale. Sono convinto che il domani potrà essere costruito anche a partire da una rinnovata capacità di nominazione.
Ecco allora il desiderio di battezzare i nostri nuovi appuntamenti con un linguaggio dalle radici meravigliosamente antiche: il linguaggio della musica classica. Saranno quindi, di volta in volta, sinfonie, rapsodie, madrigali, notturni, ouverture, concerti e minuetti a costellare il mio percorso creativo. La musica, in fondo, ha il sacro potere di produrre riverberi e connessioni. Viaggia attraverso i confini, riannodando la fragilità all’infinito.
ROMA 5 MAGGIO, 2020 – COMUNITÀ D’INTENTI
In questo silenzio che è cosa viva, il mio ascolto abbraccia tutte le persone straordinarie che lavorano con me. Ricalibrare il tempo su passi più umani vuole essere una promessa di rinnovata cura nei confronti di questa meravigliosa comunità d’intenti cui orgogliosamente appartengo.
E’ il mio progetto, pro- jectum: l’arte di gettare nel futuro l’esistenza. Un futuro declinato al plurale, che comprende il “noi” come fondamento. Che comprende quell’abbraccio che oggi non possiamo darci, ma verso cui torneremo con una comprensione più espansa. Con intesa di branco e respiro ritrovato. Sarà il tempo in cui impareremo a sentire crescere, di notte, le foreste.
ROMA 16 MAGGIO, 2020 – NEL PIENO DEL MANCARE
Oggi che siamo ancora lontani, il mio amore per la moda scalpita. La nostra specie in fondo è questo: ama a più non posso nel pieno del mancare.
Entrambi i visionari si sono uniti per sfidare l’industria a riconsiderare le proprie priorità, a riappropriarsi dell’essenza stessa dell’artigianato.
La loro voglia di mettere in discussione la superficialità delle rappresentazioni pubbliche hanno ispirato una riflessione più profonda sulla natura dell’industria della moda, spingendo brand come Armani e Gucci a mettere in discussione il valore temporaneo delle creazioni.
Questo ha segnato un ritorno alle radici dell’artigianato e all’essenza stessa dell’individualità. Invece di creare per stagioni o cicli di tendenza, i brand stanno abbracciando l’idea che ogni creazione dovrebbe essere unica, prestando attenzione alla qualità dei materiali e alla cura nel processo produttivo. Il diario ha segnato la strada all’artigianato 2.0, dove tradizione e innovazione danzano in perfetta armonia
Un nuovo paradigma nella moda
La trasformazione post covid della moda segna la nascita di un nuovo paradigma. La moda non è più un prodotto effimero, ma un investimento nel tempo.
Guardando avanti, questo spostamento verso un approccio più sostenibile e artigianale offre una visione affascinante per il futuro della moda.
Il settore è testimone di una rinascita in cui la creatività e l’autenticità vengono celebrate e la produzione viene ripensata in termini di durabilità.
Le iniziative di brand come Armani e Gucci hanno gettando le basi per un nuovo capitolo, in cui l’artigianato 2.0 si fonde con la modernità, sfidando le convenzioni del passato per abbracciare un futuro più rispettoso dell’ambiente, etico ed esteticamente appagante.
Ad oggi, Alessandro Michele non è più il direttore creativo di Gucci e Giorgio Armani ha ripreso il suo calendario classico senza stravolgimenti.
Tuttavia, la vera novità nello scenario della moda è stata introdotta da Fendi Factory, un protagonista che ha ridefinito il concetto di artigianato o artigiano 2.0 e industria.
Sintomo di come la semina fatta da Giorgio e Alessandro abbia prodotto i primi frutti.
Fendi Factory ha portato avanti una vera e propria rivoluzione nel modo in cui l’artigianato e l’industria possono coesistere. Attraverso una riedizione contemporanea dei tradizionali processi di produzione artigianale, Fendi Factory ha dimostrato come sia possibile combinare la maestria artigiana con l’efficienza industriale.
Questa iniziativa ha stravolto le convenzioni, aprendo la strada a una nuova era in cui l’artigianato 2.0 rappresenta il fulcro di una produzione più sostenibile ed esclusiva.
Qual è la differenza tra artigianato e industria?
La differenza fondamentale tra artigianato e industria risiede nei metodi di produzione adottati.
La figura dell’artigiano 2.0 e l’artigianato si basa principalmente sulla produzione manuale, con artigiani altamente specializzati che creano pezzi unici o su misura.
Questo approccio pone un’enfasi particolare sulla personalizzazione, dettagli raffinati e qualità artigianale.
D’altro canto, l’industria si avvale di processi meccanizzati o automatizzati, mirando alla produzione su larga scala. La produzione industriale è caratterizzata dalla standardizzazione per ottenere uniformità e massimizzare l’efficienza. Questo approccio può risultare in prodotti più accessibili in termini di costo e più ampiamente distribuiti.
Oggi, il concetto di “artigiano 2.0” rappresenta l’evoluzione dell’artigianato tradizionale attraverso l’integrazione di tecnologie avanzate e strategie innovative.
L’artigiano 2.0
Il designer è spesso definito come “colui che riveste un’urgenza”. Tuttavia, tra queste due figure, emergono degli ibridi noti come gli artigiani 2.0, individui che dimostrano che arte e design possono coesistere in modo sinergico. Questi artigiani rappresentano l’intersezione in cui l’arte e il design si fondono, dimostrando che queste due discipline non si annullano a vicenda, ma possono invece arricchirsi reciprocamente. Trovare l’equilibrio tra forma e funzione, bellezza e utilizzo, è diventato il cuore dell’approccio dell’artigiano 2.0.
Nel mondo dell’arte e del design, artisti e designer hanno da sempre oltrepassato i confini tradizionali. Questa interazione è stata particolarmente evidente nel campo dell’arredamento, dove l’espressione creativa, la critica sociale e la provocazione sono stati oggetto di discussione.
L’artigianato 2.0 incarna questa fusione. Gli artigiani sfruttando la loro abilità creano pezzi che non solo soddisfano le necessità funzionali, ma raccontano anche storie, suscitano emozioni e stimolano la riflessione. In tal modo, l’arte e il design diventano complementari, portando avanti una nuova era di creatività che abbina estetica e scopo in modo armonioso.
La rivoluzione della FENDI Factory: un giardino sospeso di creatività e l’artigianato 2.0
Nel suggestivo scenario di Bagno a Ripoli, in provincia di Firenze, sorge il nuovo edificio dedicato alla produzione della Maison Fendi, un’opera architettonica che si innalza come un giardino sospeso, rispecchiando l’andamento collinare del terreno su cui poggia.
La sua genesi è intrisa di storia e rinascita, poiché sorge su un terreno in passato adibito a cava, stimolando una riflessione profonda sui segni lasciati dall’industria e suggerendo un nuovo inizio progettuale.
Ideato dallo studio milanese Piuarch in collaborazione con il paesaggista Antonio Perazzi, il complesso si estende su circa 14.000 metri quadri. Ospita uffici direzionali, un ristorante, un magazzino, laboratori e persino una scuola di alta pelletteria. Il design dell’edificio si basa su elevati standard paesaggistici e energetici, sviluppandosi orizzontalmente su un unico livello. Questa struttura integra diverse funzioni attraverso percorsi fluidi e una “spina dorsale” che collega gli spazi, incentivando la connessione visiva e la socializzazione tra le persone.
Una delle caratteristiche distintive del progetto è la copertura verde, che dona all’edificio un aspetto apparentemente ipogeo. Questo sistema ecologico integrato, concepito in dialogo con l’ambiente circostante, non solo ricostruisce la morfologia originale del terreno, ma offre anche uno spazio fruibile e di socializzazione per i dipendenti. L’intero edificio si fonde armoniosamente con la natura circostante, creando un equilibrio tra architettura e paesaggio.
La sfilata Fendi uomo primavera/estate 2024 e l’artigiano 2.0
Un aspetto innovativo e affascinante di questa rivoluzione nella moda è la sfilata unica organizzata all’interno della FENDI Factory. L’approccio di Silvia Venturini Fendi ha riportato il cliente al centro dell’esperienza, richiamando le radici dell’azienda del 1925.
Durante la sfilata, le modelle e i modelli sfoggiavano le creazioni mentre gli artigiani lavoravano sulle stesse, e l’evento si concludeva con la passerella degli “artigiani 2.0“, coloro che sono l’anima dietro ogni capo d’abbigliamento. Questo gesto rappresenta un ritorno alle origini, ristabilendo il contatto diretto tra il processo creativo e il fruitore, rinnovando l’apprezzamento per il lavoro artigianale.
In un’epoca in cui la moda sta vivendo una crescita esponenziale e una carenza di manodopera specializzata, l’approccio della FENDI Factory si presenta come un modello ispiratore.
Questo progetto non solo esemplifica il connubio tra design e ambiente, ma anche la ricerca di maggiore responsabilità sociale e ambientale.
Incarna l’artigianato 2.0 come una piattaforma per rinnovare la relazione tra la creatività e la comunità, riflettendo l’evoluzione necessaria nel mondo della moda e dell’artigianato.
Questo esempio dimostra che il futuro è plasmabile attraverso idee audaci o collaborazioni di successo.
In un’epoca di innovazione senza limiti, l’artigiano 2.0 dimostra che la tradizione può prosperare attraverso l’integrazione intelligente delle nuove tecnologie, aprendo nuovi orizzonti per la creatività e la produzione artigianale.
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