Due progetti che trasformano il caffè in un gesto sostenibile e architettura
Alla 19ª edizione della Biennale Architettura di Venezia, curata da Carlo Ratti e dedicata al tema Intelligens – Natural. Artificial. Collective., il caffè – simbolo per eccellenza dell’italianità e dell’incontro sociale – diventa protagonista di due progetti che uniscono sostenibilità, cultura e innovazione progettuale.
Si tratta del Canal Café di Diller Scofidio + Renfro con lo chef Davide Oldani e del Padiglione Manameh ideato da Rashid e Ahmed Bin Shabib. Due visioni complementari che mettono in dialogo l’abitare, il clima e l’esperienza quotidiana.
Canal Café: il caffè come gesto ecologico e quotidiano
Il Canal Café, realizzato dallo studio newyorkese Diller Scofidio + Renfro insieme allo chef stellato Davide Oldani, è un progetto esperienziale che trasforma uno dei grandi problemi ambientali di Venezia – l’acqua inquinata dei canali – in risorsa simbolica e concreta.
L’installazione, situata in un punto nevralgico della città lagunare, utilizza un sistema di purificazione delle acque reflue, progettato in collaborazione con Natural Systems Utilities e SODAI, per ottenere acqua potabile con cui viene preparato e servito caffè espresso. Il gesto quotidiano del bere un caffè assume così un valore più profondo: un’azione di design, una riflessione sul ciclo delle risorse, ma anche un invito a ripensare il nostro rapporto con l’ambiente e le sue fragilità.
Il progetto dimostra come la cultura materiale – e in particolare il rito del caffè – possa diventare terreno fertile per un dialogo tra innovazione tecnologica, sostenibilità urbana e convivialità. Il coinvolgimento di Oldani aggiunge una dimensione gastronomica e sensoriale: il caffè non è solo bevanda, ma espressione di un nuovo lusso sostenibile, frutto di ingegno e responsabilità condivisa.




Padiglione Manameh: il design climatico tra memoria e futuro
Il Padiglione Manameh, promosso da Rashid Manameh con un team internazionale di architetti e ricercatori tra cui Alia Al Mur, Yusaku Imamura, Jonathan Shannon e Vladimir Yavachev, rappresenta un altro modo di raccontare il caffè, partendo dalla sua relazione con il clima e l’architettura vernacolare.
Il padiglione si ispira alle tradizionali strutture del Golfo Persico – in particolare alle “wind towers” – reinterpretandole in chiave contemporanea per affrontare le sfide del riscaldamento globale. L’obiettivo è chiaro: ridurre la dipendenza da soluzioni meccaniche per il raffrescamento degli spazi, restituendo centralità alle tecniche passive di climatizzazione.
All’interno del padiglione, la zona del caffè assume un ruolo centrale: è lo spazio dell’ospitalità, della sosta e del dialogo, ma anche quello dove il comfort climatico ottenuto senza consumo energetico dimostra il valore del sapere artigianale. Il profumo del caffè si unisce così all’esperienza tattile e visiva di materiali naturali, ombre e ventilazione naturale, in un microcosmo progettuale che unisce bellezza, sostenibilità e memoria.


Il caffè come metafora progettuale
Entrambi i progetti dimostrano come un gesto semplice – bere un caffè – possa farsi strumento narrativo e politico. Il Canal Café lo trasforma in un’azione radicale di riutilizzo delle risorse. Il Padiglione Manameh lo riconduce alla dimensione climatica e sociale dell’abitare mediterraneo. In entrambi i casi, il caffè si fa catalizzatore di intelligenze collettive – naturali, artificiali, culturali – in perfetta sintonia con il tema della Biennale.
In un mondo segnato da crisi ambientali e urgenze climatiche, questi progetti ricordano che anche gli oggetti e i riti più quotidiani possono diventare portatori di cambiamento, se riletti attraverso il filtro dell’architettura, della sostenibilità e della cura. E che il design del futuro, come ci insegna il caffè, parte spesso da gesti semplici, ma pieni di senso.