Rock britannico e romanticismo urbano: l’estate infinita di Daniel Lee
Burberry chiude la London Fashion Week con un ritorno di energia e identità. Nell’ultima giornata della LFW, la maison britannica ha presentato la collezione SS26, un inno rock’n’roll alla cultura musicale d’Oltremanica, filtrato dall’eleganza contemporanea del direttore creativo Daniel Lee.
Allestita sotto una tensostruttura color gabardine a Perks Field, nel cuore di Kensington Gardens, la sfilata ha trasformato Hyde Park in un’arena privata da festival, con cubi di seduta color terra, cieli dipinti e un’atmosfera sospesa tra Glastonbury e un concerto dei Black Sabbath. Il parterre non era da meno: Elton John in sciarpa rossa, Jason Statham e Rosie Huntington-Whiteley, Skepta e Ian Wright, fino al giovane tennista Jack Draper, tutti pronti a immergersi in un’esperienza che univa moda e musica.
La colonna sonora di un’estetica
L’apertura dello show è stata una dichiarazione d’intenti. Una modella ha calcato la passerella in un trench in tartan cerato, completato da stivali massicci e chiome ribelli che evocavano lo spirito di Marianne Faithfull.
A seguire, un trench in denim cerato indossato da un modello con afro scolpito alla Jimi Hendrix. L’impatto visivo si è intrecciato con quello sonoro: un remix potente e ipnotico di Planet Caravan dei Black Sabbath, scelto non solo per la sua forza evocativa, ma anche per il legame personale di Lee con la band, simbolo di una cultura musicale che ha attraversato generazioni e che oggi si trasforma in linguaggio estetico.
La colonna sonora, con le sue vibrazioni heavy e psichedeliche, ha sottolineato l’idea di una moda che si comporta come un concerto: energica, carismatica e intrisa di memoria collettiva.
Silhouette tra concerto e couture
Ogni look della collezione sembrava appartenere a un palco, pronto a catturare la luce dei riflettori. I mini dress a trapezio, arricchiti da catene e dettagli metallici, richiamavano l’energia frizzante delle dolly-bird londinesi degli anni Sessanta, mentre i tubini da sera in macramè dorato e turchese brillavano come spartiti tessili, ricamati con una precisione quasi musicale.
L’anima più ribelle prendeva forma nei trench in camoscio con lacci, evocazioni rock e sensuali che ricordavano un Don Giovanni in versione decadente. In parallelo, la sartoria ritrovava centralità con completi impeccabili, pantaloni a carota e giacche affilate, intrisi di un piglio urbano che li avvicinava più al backstage di un concerto che a un salotto formale.
Il DNA Burberry riaffiorava in una rilettura audace del check, reinterpretato su parka cerati, pantaloni fluidi e anfibi tartan, affiancato da cappotti in pelle dall’impronta hippie-chic e borse a frange che danzavano a ogni passo come strumenti a percussione. Insieme, questi elementi componevano una collezione che scorreva come una playlist visiva: un continuo remix tra passato e futuro, tra l’eco del vintage e l’urgenza di un presente contemporaneo.
Palette e materia: sperimentazioni e vibrazioni visive
La collezione ha trovato la sua forza non solo nelle forme, ma soprattutto nei colori e nelle superfici. La tavolozza ha oscillato tra toni acidi e squillanti – verde lime, rosa salmone, giallo amaro – che catturavano immediatamente lo sguardo, e sfumature più profonde e terrose – beige, indigo, marroni intensi – che restituivano equilibrio e radicamento. Questo gioco di contrasti ha creato un effetto vibrante, come luci laser che si riflettono su un palco, alternandosi con ombre più calde e avvolgenti.
Anche i materiali hanno contribuito a costruire un’estetica energica e tattile. Il cotone intrecciato con la rafia ha dato corpo a trench e raincoat dall’aspetto materico ma leggero, quasi rurale, mentre la chainmail e il crochet hanno trasportato il guardaroba femminile in una dimensione da armatura glamour, sospesa tra protezione e sensualità. Le tecniche di laser cut, che trasformavano il cuoio in pizzi contemporanei, hanno aggiunto un tocco sperimentale e tecnologico, a dimostrazione della volontà di Lee di spingere i codici Burberry oltre il classico.
Gli slip dress tempestati di perline e specchi, invece, riflettevano la luce come sfere stroboscopiche, evocando la psichedelia dei festival anni Settanta e l’euforia di un’estate britannica senza fine.
Completa il quadro la calzatura, che si è fatta dichiarazione d’intenti. I nuovi Baez sandals, essenziali e quasi minimalisti, rappresentavano la leggerezza della stagione calda, mentre il Ledger boot, ispirato al mondo equestre, riaffermava le radici aristocratiche e outdoor della maison. Una dicotomia studiata: da una parte l’anima heritage, dall’altra la spinta verso una modernità audace.
Tra moda e business: la sfida Burberry
La presentazione della collezione Primavera-Estate 2026 arriva in un momento cruciale per la maison britannica. Burberry ha infatti chiuso l’ultimo anno fiscale con un calo del 15% del fatturato e un crollo di oltre il 90% dell’utile operativo, segnali di una fragilità che il mercato ha osservato con attenzione.
In questo contesto, la sfilata di Daniel Lee è apparsa non soltanto come un esercizio creativo, ma come un tassello strategico: una collezione dal linguaggio forte e riconoscibile, capace di generare immediata desiderabilità e, al tempo stesso, di tradursi in prodotto. Il mix di outerwear iconico, nuove proposte sartoriali e accessori mirati sembra rispondere in maniera diretta alle esigenze di un brand che deve riconquistare quota nel lusso globale.
Parallelamente, il CEO Joshua Schulman, arrivato in azienda nel 2024, sta ridisegnando l’approccio retail con mosse simboliche ma concrete. Il lancio dello Scarf Bar, un concept interamente dedicato a 200 modelli di sciarpe – dal cashmere storico a versioni in mohair, lana e seta – rappresenta una strategia mirata a rafforzare l’heritage e al contempo a proporre un prodotto immediatamente riconoscibile e accessibile. In questo modo, Burberry riafferma la propria identità attraverso uno dei suoi codici più universali, il check, trasformandolo in leva commerciale e narrativa.
Schulman, manager con un curriculum che spazia da Michael Kors a Jimmy Choo, ha avviato una ristrutturazione significativa, accompagnata da un sistema di incentivi che lega il suo bonus alla performance delle azioni. L’obiettivo è chiaro: riportare Burberry al centro della scena internazionale, recuperando rilevanza sia dal punto di vista creativo che economico.
La sfilata SS26, con la sua estetica rock e la sua forte connessione alla cultura britannica, sembra inserirsi perfettamente in questo percorso: un progetto che vuole essere al tempo stesso culturalmente rilevante e commercialmente efficace.
L’eco di un’estate britannica
La collezione firmata da Daniel Lee non ha avuto l’ambizione di demolire i codici Burberry, ma piuttosto di riattivarli attraverso un processo di remix culturale. Come un DJ che seleziona vinili iconici per trasformarli in tracce inedite, lo stilista ha preso i pilastri della maison – trench, tailoring e check – e li ha trasfigurati in linguaggio contemporaneo. Il risultato è stato un dialogo continuo tra heritage e libertà creativa, tra la solidità della sartoria britannica e l’immediatezza della cultura musicale che scandisce le estati inglesi, dai prati di Hyde Park alle distese fangose di Glastonbury.
L’atmosfera dello show, sostenuta dalle note lisergiche dei Black Sabbath, ha reso chiaro il messaggio: Burberry non vuole solo vestire, ma diventare la colonna sonora visiva di una generazione che cerca appartenenza e stile.
In questo senso, il logo Prorsum – “andare avanti” – ha assunto un valore quasi performativo, un monito a guardare oltre senza recidere le radici.
Con questa collezione, Burberry ritrova la propria voce: forte, riconoscibile, intrisa di simboli britannici ma capace di parlare un linguaggio globale. È il ritorno di un marchio che, pur attraversando trasformazioni economiche e culturali, mostra di saper riscrivere la propria partitura senza perdere il ritmo.
Un ritmo che, come quello di un’estate musicale londinese, resta inconfondibile e contagioso.

