La moda dei CEO

Il difficile bilanciamento di creatività e vendite

Negli ultimi anni, la moda ha assistito a un vero e proprio ballo di poltrone tra direttori creativi e CEO. Questo passaggio di testimone non è solo un cambio di ruoli, ma un segnale di una fase nuova, che molti interpretano come rinascita del settore. Le ultime fashion week hanno mostrato debutti così numerosi e sorprendenti da trasformare le passerelle in eventi rivoluzionari, capaci di catturare non solo gli addetti ai lavori, ma anche un pubblico più ampio, lontano dalle dinamiche tradizionali e dalla storia della moda.

Oggi i nuovi direttori creativi sono al centro della scena. I loro debutti infiammano i social, diventando quasi più noti dei brand stessi. Per proteggere questi momenti, molte sfilate si svolgono in forma privata (Versace), con l’obiettivo di preservare l’effetto sorpresa e la percezione esclusiva del lancio. I designer sono diventati indispensabili: dettano l’immagine globale del brand, influenzano i temi culturali e sociali che risuonano con i clienti, e determinano in larga parte il successo commerciale.

Eppure, la moda non è solo arte o cultura: è anche mercato. Numeri, vendite, strategie finanziarie e scelte dei CEO entrano in gioco quando un marchio deve confrontarsi con la realtà economica. Un brand può avere creatività straordinaria, ma senza equilibrio tra visione artistica e gestione economica, rischia di soccombere.

La moda è cultura, ma anche prodotto: deve essere progettata, posizionata e venduta.

Kering e la sfida del lusso

Tra i grandi gruppi francesi, Kering rappresenta uno dei casi più delicati. Con marchi iconici come Gucci, Saint Laurent, Bottega Veneta e Balenciaga, il gruppo ha visto crescere sfide complesse. Gucci, in particolare, è sotto i riflettori: se Demna ha portato novità, i risultati concreti nelle boutique selezionate sono ancora da consolidare.

Ed è qui che entra in gioco Luca de Meo, nuovo CEO proveniente dal mercato automobilistico. Prima ancora di assumere ufficialmente l’incarico, de Meo aveva già tracciato una diagnosi del gruppo e proposto oltre una dozzina di linee d’azione per rilanciarlo. L’obiettivo è chiaro: comprendere cosa oggi non funziona e stabilire strategie per riportare Kering al centro del mercato globale del lusso.

Clienti o direttori creativi: chi guida il brand?

Uno dei nodi principali su cui de Meo vuole intervenire è il rapporto tra clienti e direttori creativi. Oggi i designer spesso godono di fama superiore al brand stesso: i clienti entrano nelle boutique attratti dal nome del direttore creativo, mentre una scelta considerata non di tendenza può allontanarli.

Il CEO vuole rimettere il cliente al centro, riducendo la dipendenza esclusiva dalla visione creativa. Ma questa strategia non è semplice. Il direttore creativo definisce l’identità del brand e detiene la visione globale: senza la sua guida, un marchio rischia di apparire piatto, privo di anima.

De Meo propone di concentrare l’influenza del direttore creativo sul 20% dei prodotti più emblematici, mentre l’80% restante — pelletteria, calzature e abbigliamento — sarebbe guidato da logiche commerciali. Molti osservatori trovano questa impostazione controversa: pagare milioni un direttore creativo e relegarne il lavoro a una piccola parte della collezione rischia di trasformare il lusso in semplice merchandising. Il rischio è perdere ciò che rende il settore unico: l’attenzione al dettaglio, l’artigianalità e l’esclusività.

La velocità: opportunità o rischio?

Un altro tema centrale è la velocità. Il settore della moda oggi corre a ritmi frenetici, spesso senza tempo per riflettere o correggere la direzione. Durante il COVID, molte maison hanno rallentato la produzione, ma non per scelta strategica: più per necessità, vista l’impossibilità di organizzare sfilate. Alcuni brand, come Armani, hanno colto l’occasione per ridurre le sfilate, mentre altri, come Alessandro Michele a Valentino, hanno mantenuto una strategia più selettiva.

De Meo invece punta ad accelerare: l’intento è ridurre il tempo medio che intercorre tra il primo bozzetto e la vendita del prodotto, passando da un anno a sei mesi. Questo comporta sfide significative per la filiera, la produzione e la creatività stessa. Gli artigiani, spesso vincolati a ritmi impossibili, rischiano di vedere compromessa la qualità del loro lavoro.

La velocità, se non gestita con attenzione, può portare il lusso a somigliare al fast fashion. Prodotti complessi, realizzati con materiali pregiati e processi artigianali, non possono essere compressi negli stessi tempi di una catena industriale. La ricetta di de Meo, sebbene ambiziosa, deve trovare un equilibrio tra efficienza e mantenimento dell’unicità che definisce il lusso.

Lusso e mercato: la sfida dei prossimi anni

La situazione attuale rafforza la necessità di scelte chiare e coraggiose. De Meo ha indicato tre direttrici principali: ridurre il debito, razionalizzare e riposizionare i marchi dove necessario, e accelerare i tempi di produzione senza compromettere la qualità.

Il percorso è complesso: combinare la creatività dei direttori con le logiche del mercato richiede equilibrio, comprensione delle aspettative dei clienti e rispetto della filiera. Il rischio di una deriva commerciale, dove il lusso diventa solo merchandising, è concreto. Ma se gestito correttamente, questo bilanciamento può dare nuova linfa ai marchi, rendendoli competitivi e desiderabili, senza sacrificare la loro essenza.

In questo scenario, Luca de Meo porta una visione nuova, seppur non del tutto inedita per chi proviene dai mercati finanziari. Oggi un CEO deve misurare la moda con parametri economici senza mai trascurarne l’anima creativa.

La sfida è enorme, ma le premesse indicano un futuro di cambiamenti significativi, in cui creatività, mercato e velocità dovranno trovare un nuovo equilibrio. Sarà la moda, e soprattutto l’intera filiera, in grado di raggiungerlo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Carrello
Torna in alto