Diritti calpestati, soldi e silenzio: i peccati nascosti dell’eccellenza italiana
Negli ultimi anni, la crisi del sistema moda italiano – simbolo di eccellenza, eleganza e creatività – è diventata uno dei più gravi scandali reputazionali della sua storia.
Oggi, dietro l’iconico “Made in Italy” si celano non solo collezioni da passerella e boutique di lusso, ma una rete opaca di subappalti, sfruttamento della manodopera, evasione fiscale e mancato controllo della filiera produttiva.
La patina dorata del settore si sta sgretolando sotto il peso delle inchieste giudiziarie, delle denunce sindacali e dell’indifferenza di chi preferisce commentare l’orlo di un vestito anziché chiedersi chi l’ha cucito, in quali condizioni e a che prezzo umano.
La scarsa trasparenza, i subappalti e la dubbia qualità
Il sistema moda italiano ha costruito parte della sua fortuna sulla delocalizzazione interna, una pratica per cui, pur producendo in Italia, molte aziende affidano a fornitori esterni (spesso laboratori di proprietà cinese o gestiti in modo irregolare) la fabbricazione di borse, accessori e capi d’abbigliamento. Questo sistema si regge su una catena di appalti e subappalti che sfugge a ogni forma di controllo reale.
A testimoniarlo, non sono solo articoli o denunce isolate, ma una lunga serie di interventi giudiziari: da Valentino Bags Lab a Manufactures Dior, da Giorgio Armani Operations ad Alviero Martini, tutte aziende finite sotto amministrazione giudiziaria per aver subappaltato produzioni a laboratori dove i diritti dei lavoratori erano inesistenti.
Le condizioni scoperte sono scioccanti: lavoratori in nero, turni notturni infiniti, ambienti insalubri, dormitori ricavati nei magazzini, dispositivi di sicurezza rimossi per accelerare la produzione. Il tutto in cambio di pochi euro a pezzo: 3 euro per il taglio della pelle, 7 per la tintura.
La colpa? Formalmente ricade sui fornitori.
Ma la responsabilità morale e strategica è delle maison che scelgono di non verificare, o di ignorare, cosa accade nella catena produttiva. Il tribunale è chiaro: chi commissiona è responsabile, soprattutto dopo precedenti già noti e interventi della magistratura.
Il lusso delle evasioni fiscali
Alla scarsa etica produttiva si somma l’altro lato della crisi: l’evasione fiscale. Il caso più eclatante riguarda Kering, colosso francese proprietario di marchi come Gucci e Bottega Veneta, che ha transato con l’Agenzia delle Entrate italiana 1,5 miliardi di euro per aver fittiziamente spostato il centro della propria attività in Svizzera.
Lo ha rivelato Report, in una puntata dedicata al lato oscuro del sistema moda. Carmine Rotondaro, ex responsabile fiscale del gruppo, ha raccontato i meccanismi con cui veniva orchestrata una delle più grandi frodi del nostro Paese. Il tutto, apparentemente, con una semplicità sconcertante.
A margine, si è parlato anche di Hermès, Armani e Dior, tutte coinvolte in pratiche opache legate al subappalto. Nel caso Dior, la produzione di borse era affidata a laboratori in cui si lavorava in condizioni non dissimili da quelle della prima rivoluzione industriale.
Milano corre ai ripari: firmato il Protocollo per la legalità nella filiera moda
Milano si attiva concretamente per invertire la rotta. In Prefettura è stato siglato un Protocollo per il contrasto all’illegalità negli appalti della filiera produttiva della moda, una mossa strategica per garantire trasparenza, equità e condizioni di lavoro dignitose.
L’intesa, sottoscritta da Prefettura, Regione Lombardia, Tribunale di Milano, forze dell’ordine, associazioni di categoria e sindacati, prevede la creazione di una piattaforma digitale capace di tracciare l’intera catena produttiva e una “green list” di fornitori certificati, selezionati secondo criteri di legalità e responsabilità sociale.
Questo “doppio binario” di controllo e premialità rappresenta una risposta concreta allo sfruttamento della manodopera e all’evasione fiscale che hanno minato la credibilità del Made in Italy, rilanciando la speranza di un settore moda più etico e sostenibile.
Quando la moda ignora la realtà
Nel dibattito pubblico, però, queste questioni restano spesso marginali. Tra social media, talk show e persino riviste specializzate, l’attenzione si concentra su tendenze, stilisti emergenti e dettagli estetici, mentre il nodo vero resta irrisolto: la moda può davvero continuare a ignorare la propria responsabilità sociale?
Molti italiani, cresciuti con l’idea che il gusto sia sinonimo di identità nazionale, si sentono esperti di moda. Il paradosso è che si discute di passerelle e silhouette senza mai interrogarsi sui processi nascosti dietro la produzione e distribuzione di quei capi.
Nel frattempo, sui social domina una comunicazione superficiale: storie di eventi esclusivi, outfit perfetti e campagne pubblicitarie patinate oscurano le questioni etiche. L’estetica ha preso il sopravvento sull’etica, alimentando un’illusione di glamour che nasconde un sistema in crisi.
Crisi del sistema moda: una crisi più grave di quanto sembri
Il problema non è più solo di immagine. È economico e sistemico. Il comparto moda italiano vale 96 miliardi di euro l’anno. Un valore enorme, che rischia di sgretolarsi se i marchi continuano a minare la loro stessa credibilità con comportamenti opachi.
L’adozione dei Modelli 231, previsti dal D.Lgs. 231/2001, che servono a garantire la tracciabilità e la correttezza della gestione, è ancora poco diffusa. E mentre l’Europa si muove con la CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive), che impone la rendicontazione sulla sostenibilità, molte aziende italiane arrancano, incapaci o riluttanti a fornire trasparenza sulla filiera.
Il 2025 si presenta come un anno cruciale per il settore moda e design, con una crisi che investe il mercato del lusso e sfide profonde da affrontare per garantire innovazione e sostenibilità
Smettere di guardare solo l’etichetta
È tempo di cambiare prospettiva. Non basta più chiedersi se una borsa è esteticamente perfetta o se il taglio del blazer è impeccabile. La domanda cruciale è: Chi l’ha prodotta? Dove? E a quale costo sociale e ambientale?
La moda ha il potere di influenzare cultura e mercato, ma oggi deve fare i conti con una realtà spesso nascosta: filiere opache, sfruttamento della manodopera, impatti ambientali significativi. Ignorare questi aspetti non è più sostenibile.
Il vero valore del lusso contemporaneo si misura nella trasparenza e nel rispetto delle persone e dell’ambiente, elementi che sempre più consumatori richiedono e che potrebbero definire il futuro del settore.