L’arte surrealista che veste il sogno
Erdem ha presentato la collezione SS26 durante la London Fashion Week, confermando ancora una volta il suo talento nel trasformare la moda in racconto visivo e teatrale. Nessuno stilista può vantare muse più improbabili di Erdem Moralioglu, la cui ispirazione per questa stagione prende forma dall’artista surrealista, licenziosa, oscura e quasi dimenticata Hélène Smith. È stata proprio questa aura di mistero a dare vita a una collezione memorabile, un dialogo tra storia, sogno e sartorialità tipico dell’alta moda di Bloomsbury.
Catherine-Elise Muller, nota col nome d’arte di Hélène Smith, fu soprannominata la “musa della scrittura automatica” dai primi surrealisti oltre un secolo fa. Copie dei suoi testi sono state ricamate su abiti a tubino in pizzo a scacchiera, su cocktail dress con corsetti in tulle inamidato, e su bustier aderenti arricchiti da petali e fiori di tessuto. Un dettaglio sorprendente: Smith si definiva medium, in grado di comunicare con i defunti Victor Hugo e Cagliostro, e raccontava di aver viaggiato, in stato di trance, alla corte di Versailles, in Rajasthan e persino su Marte.
Le suggestioni della corte francese si traducono in alti colletti di pizzo, panieri strutturati e dettagli che ricordano Maria Antonietta, mentre i viaggi immaginari in India e nello spazio diventano abiti scultorei in lino ricamato e stropicciato, in tonalità neon, accompagnati da scarpe da cortigiana con nastri. La collezione spazia anche tra blazer maschili e giacche doppiopetto a righe, ispirati allo psicologo Théodore Flournoy, che nel libro Dall’India al pianeta Marteraccontava dei viaggi medianici di Smith.
Erdem 20 Years: Maria Antonietta incontra Marte
Per celebrare il ventesimo anniversario della maison, Erdem Moralıoğlu ha scelto il colonnato del British Museum come palcoscenico solenne e carico di simbolismo per la collezione SS26. La narrativa della medium svizzera diventa filo conduttore della sfilata: Smith viveva vite parallele come dama francese, principessa indiana e viaggiatrice marziana, definendo tre “cicli romantici” che Moralıoğlu ha tradotto in tre atti di collezione.
«Il primo atto rende omaggio a Maria Antonietta, con panieri strutturati e merletti di inizio secolo su cui abbiamo sovrapposto il ricamo nero del suo alfabeto inventato», racconta lo stilista nel backstage. Gli abiti rievocano la grazia aristocratica dei broccati e delle sete, reinterpretando il sari e introducendo dettagli futuristici con riflessi metallici. Il romanticismo di Erdem, filtrato attraverso rigore sartoriale e narrativa teatrale, si esprime in una palette che va dal candore lattiginoso al verde acido più audace, evocando i paesaggi del Rajasthan e le atmosfere siderali dei suoi viaggi immaginari.
Gli spettri di Erdem animano il British Museum
La luce di settembre illumina il colonnato, trasformando il museo in un palcoscenico fuori dal tempo. In prima fila, il direttore Nicholas Cullinan osserva attentamente insieme all’artista Marina Abramovic. La collezione si sviluppa come un diario di reincarnazioni: abiti a pannelli sovrapposti come pagine, sete screziate che ricordano aurore boreali, broccati ottocenteschi smontati e ricomposti come costellazioni. Le silhouette oscillano tra rigore vittoriano e fluidità orientale, con cappe che richiamano sari e bustier da corte, mentre i ricami tracciano giardini in negativo e architetture planetarie, oscillando tra intimità del sogno e peso della storia.
Nella seconda metà della sfilata, la visione si fa ancora più visionaria: nuvole di satin chartreuse diventano abiti impalpabili, mini dress Watteau in verde e rosa fluttuano leggeri, punteggiati di simboli in cristallo. Gli abiti crochet in cotone, bianchi o neri, scendono in lunghe code da veggente ottocentesca, mentre trench coat rosa pallido ricamati con frammenti di tessuto e cristalli si sovrappongono a nightshirt metallizzate, fondendo intimità e cerimonia.
Il crescendo culmina nei bustier cage dress: strutture scheletriche in pizzi antichi e ricami sfrangiati, come armature di fantasmi che trattengono e liberano il corpo. È un finale che ribadisce la dimensione metamorfica della collezione: tra reliquia e fantascienza, Maria Antonietta e la viaggiatrice marziana diventano una sola, incarnazione della molteplicità dell’identità femminile, capace di reinventarsi senza confini.

