REPORT – Milano Design Week 2025

L’Incanto del Progetto, il Caos del Contorno

Report Milano Design Week 2025 – Milano torna a splendere come epicentro mondiale del design. Una settimana vibrante, densa di appuntamenti, performance, installazioni e presentazioni. La Milano Design Week 2025 si conclude lasciando dietro di sé un’eco potente: oltre 1000 eventi, centinaia di migliaia di visitatori, un indotto che sfiora i 300 milioni di euro.

In ogni angolo della città si è respirata l’energia del design: buyer, architetti, designer, creativi, studenti e appassionati si sono immersi in un rito collettivo, difficile da descrivere e impossibile da ignorare.

Il report milano design week 2025 vuole offrire uno sguardo su quanto accaduto nei distretti, negli showroom e negli spazi iconici di Milano. Un viaggio tra creatività, tecnologia, moda e contaminazioni culturali che definiscono le nuove traiettorie del progetto.

Tecnologia e Intelligenza Artificiale

È ormai evidente: non possiamo più prescindere dalla tecnologia, e ancor meno dall’intelligenza artificiale. Alla Milano Design Week 2025, quasi ogni proposta esposta portava con sé una componente tech, dimostrando come l’innovazione digitale sia diventata parte integrante non solo della produzione, ma anche dell’estetica e della narrazione progettuale. Non si tratta più di una semplice integrazione funzionale: la tecnologia è oggi un linguaggio del design.

Tra i protagonisti di questa rivoluzione, Liffo ha presentato un robot da cucina destinato al mercato consumer già da quest’anno. Ciò che distingue questa macchina dalle precedenti è l’utilizzo avanzato dell’intelligenza artificiale: l’utente inserisce diversi ingredienti nei contenitori dedicati e il robot elabora, in tempo reale, ricette personalizzate in base a quantità, preferenze e anche gusti precedentemente registrati. Un esempio concreto di come l’AI possa trasformare l’esperienza domestica in qualcosa di dinamico, interattivo e su misura.

Ma a calamitare l’attenzione del grande pubblico — e a generare le code più lunghe della settimana — è stata Google, con un’installazione dal forte impatto poetico ed emozionale. Ospitata nello spazio di N°21, brand firmato da Alessandro Dell’Acqua, l’opera ha tradotto in forma fisica l’invisibile energia della luce, rendendola quasi tangibile. I visitatori si sono immersi in un ambiente dove la luce non era solo una fonte luminosa, ma una materia viva, cangiante, in grado di suscitare emozioni, memorie e sensazioni.

Tuttavia, se l’allestimento ha centrato l’obiettivo esperienziale, i nuovi prodotti presentati da Google non sono riusciti ad eguagliarne il livello di suggestione. Sebbene portatori di una visione interessante, questi oggetti smart sembrano ancora incompleti nella loro capacità di stupire, di innovare davvero nel linguaggio del design. L’impressione è che la parte tecnologica sovrasti ancora quella emotiva e simbolica, e che ci sia margine — e bisogno — di una maggiore sinergia tra progettisti, ingegneri e narratori visivi.

In sintesi, la tecnologia c’è, e si fa sentire. Ma il design, oggi più che mai, ha il compito di tradurla in un’esperienza che non sia solo utile, ma anche bella, sensibile, profonda. E se l’intelligenza artificiale può suggerire ricette o ottimizzare la luce in una stanza, è solo attraverso l’intelligenza emotiva del design che potrà diventare davvero parte delle nostre vite.

Report Milano Design Week 2025: sedie e complementi d’arredo

Il cuore pulsante della Design Week è sempre il prodotto. I grandi brand di arredo hanno presentato nuove collezioni, ma senza colpi di scena significativi. Le rotazioni tra designer e marchi si susseguono, ma la sovrapproduzione rischia di confondere più che entusiasmare. Il panorama è saturo, e distinguersi diventa un’impresa — un elemento che emerge chiaramente anche nel report della Milano Design Week 2025.

Home Collection: la moda arreda

Nel report della Milano Design Week 2025, evidenziamo come il dialogo tra moda e interior design si stia intensificando sempre di più. Non si tratta più di semplici incursioni nel mondo dell’arredo, ma di vere e proprie collezioni strutturate, pensate per abitare gli spazi con lo stesso linguaggio con cui si veste un corpo. Le home collection dei grandi brand della moda rappresentano un’estensione naturale del loro universo estetico, tra visione, materiali e lifestyle. Ecco cosa abbiamo visto (e amato).

Fendi Casa si conferma tra i protagonisti assoluti. La nuova collezione si distingue per le tonalità calde e naturali — colori della terra, della sabbia, dell’argilla — che definiscono un racconto visivo raffinato ed equilibrato. Nulla è lasciato al caso: ogni dettaglio è frutto di una ricerca meticolosa, ogni pezzo porta con sé un’identità precisa. Il risultato è un equilibrio perfetto tra classicismo e innovazione, con oggetti che non inseguono il tempo, ma lo sfidano. Fendi sa bene cosa significa costruire un brand anche tra le mura domestiche, e questa collezione ne è la conferma più elegante.

Armani/Casa ci accompagna in un viaggio suggestivo verso l’Oriente. La collezione 2025 si muove tra atmosfere silenziose e sofisticate, con richiami al mondo della couture: i ricami, i tessuti, le texture richiamano l’alta moda di Re Giorgio, ma traslati con naturalezza negli oggetti d’arredo. La forza di Armani risiede proprio in questa capacità di tradurre la moda in design senza mai forzare la mano. Il racconto è coerente, il risultato affascinante: ogni pezzo è una finestra aperta su un mondo fatto di calma, misura ed eleganza.

Dolce & Gabbana e Versace, invece, sembrano aver smarrito un po’ del loro smalto iniziale. Le rispettive collezioni appaiono ridondanti, quasi un’estensione forzata dei codici visivi del brand più che una proposta autentica per l’abitare. Il numero eccessivo di prodotti, l’estetica ripetuta, la mancanza di evoluzione progettuale tradiscono un approccio più orientato al merchandising che al design. E questo pesa, soprattutto considerando la storia e la forza simbolica che questi due nomi portano con sé nel panorama italiano.

Al contrario, Hermès incanta ancora una volta con una delle installazioni più poetiche della settimana, ospitata alla Pelota. Uno spazio etereo, quasi sospeso nel tempo, fatto di volumi leggeri, tonalità morbide e materiali nobili. La collezione 2025 è un esercizio di purezza formale: geometrie essenziali, artigianalità estrema e una sensibilità rara per la materia. Hermès non rincorre le mode, le anticipa con una grazia silenziosa ma dirompente.

Chiude il percorso Missoni, che rinnova la sua collaborazione con Roda per l’outdoor design. La nuova collezione, presentata in uno spazio concepito come una vera e propria oasi, è fresca, funzionale e piena di colore, in perfetta coerenza con il DNA Missoni. Trame, intrecci, pattern iconici si adattano a sedute e complementi pensati per vivere l’esterno con lo stesso stile che si riserva agli interni. Il risultato è un ambiente vivace, accogliente, che promette nuove possibilità progettuali e commerciali.

In definitiva, la casa secondo la moda è sempre meno decorazione e sempre più narrazione. Non tutti riescono a trasformare la propria identità stilistica in una visione abitativa coerente, ma chi ci riesce — come Fendi, Armani, Hermès e Missoni — definisce nuove direzioni per l’interior contemporaneo.

Automotive e Watch Design: tra movimento e immaginario

Il mondo del design automobilistico e navale ha trovato spazio crescente nel panorama del Fuorisalone, confermando che l’evoluzione del progetto passa anche — e sempre di più — attraverso i settori della mobilità e dell’esperienza dinamica. Quest’anno, le installazioni legate all’automotive e allo yacht design hanno dimostrato una crescente volontà di dialogare con la città, portando performance, estetica e narrazione fuori dai contesti convenzionali.

Denza, per la prima volta presente al Fuorisalone, ha scelto di legarsi al Brera Design District. Un debutto discreto ma significativo, che sancisce il desiderio dei brand asiatici emergenti di entrare in modo strutturato nel tessuto creativo milanese.

Molto più scenografica l’installazione di Audi nel cortile di Portrait Milano. Qui, tecnologia e natura si sono intrecciate in un’oasi di relax dal gusto sofisticato. La “danza dell’erba luminosa” — ispirata al movimento del vento — è stata uno dei momenti più suggestivi dell’intera settimana. A sorprendere è anche il dettaglio: smalti per unghie creati a partire dai pantoni delle carrozzerie, pensati per un pubblico femminile attento a estetica e identità. Una scelta che parla di contaminazione e lifestyle, più che di motori in senso stretto.

Škoda ha puntato invece su un racconto più narrativo e immersivo. La collaborazione con Marcantonio ha portato a installazioni concettuali, ma il risultato ha diviso. L’effetto sorpresa si è affievolito e il percorso espositivo è apparso lineare, poco coinvolgente, distante dalle aspettative. Una dimostrazione di quanto oggi l’interazione con il pubblico e l’impatto scenico siano elementi centrali nella riuscita di un progetto espositivo.

Molto più riuscita l’installazione curata da Cranchi Yachts a Palazzo Citterio, dove il concetto di fluidità ha guidato un racconto poetico e potente. I modellini degli yacht diventano oggetti simbolici in un allestimento che richiama l’acqua come memoria, movimento, metamorfosi. L’esperienza visiva ed emotiva è tra le più forti della settimana, in grado di trasportare il visitatore in un mondo sospeso tra sogno e tecnologia.

Numerosi i brand presenti — BMW, Cupra, Lamborghini, Lexus, Lotus, Maserati, Omoda, solo per citarne alcuni — in un calendario fittissimo che rende sempre più evidente la necessità di una riflessione più ampia. La domanda è legittima: perché Milano non ha ancora una vera “Car Week” dedicata? L’integrazione con la Design Week arricchisce il programma ma ne compromette spesso la leggibilità. Il rischio è quello della frammentazione, dove esperienze e messaggi si sovrappongono perdendo forza. Il target è chiaro, il potenziale immenso: serve solo uno spazio che ne valorizzi l’identità.

Ma siamo davvero sicuri che il design debba essere raccontato sempre (e solo) attraverso le installazioni? La sensazione che ha attraversato questa Milano Design Week è che qualcosa si sia incrinato, che l’incanto di un tempo abbia lasciato spazio alla prevedibilità. Un format stanco, in molti casi autoreferenziale, che ha tradito proprio coloro che negli anni ne sono stati i più convinti sostenitori.

Basta guardare a Università Statale: per anni epicentro di spettacolarità e creatività, quest’anno è apparsa sottotono.

Piero Lissoni con Wind Labyrinth ci ha lasciato con l’amaro in bocca. Il progetto, potente in render, si è sgonfiato nel reale: le vele nere, assorbendo la luce, hanno spento l’effetto scenico. Quello che poteva essere un percorso immersivo è diventato un passaggio freddo, dimenticabile.

Amazon ha occupato il Cortile della Farmacia con una piazza-installazione che sembrava esserci più per dovere di presenza che per reale visione creativa. Paradossalmente, il momento più interessante è arrivato dal takeover dei manifestanti pro-Palestina: un gesto politico e potente che ha riportato senso in uno spazio altrimenti vuoto di contenuti.

Di tutt’altro spessore la proposta di Cassina con Formafantasma, al Piccolo Teatro. Qui il design entra letteralmente in scena: oggetti e prodotti diventano co-protagonisti, mescolandosi agli attori e agli spettatori in un’esperienza performativa intensa e sofisticata. Una vera fusione tra le arti.

La vera gemma però è stata “Graffito di Luce” al Chiostro Bramantesco della Chiesa di Santa Maria delle Grazie. Un lavoro che riesce a intrecciare luce, materia, memoria e spiritualità. Qui il design diventa davvero linguaggio contemporaneo capace di dialogare con la storia.

Dedar ha aperto le porte della Torre Velasca, offrendo una delle esperienze più affascinanti e coerenti della settimana. L’installazione Weaving Anni Albers ha celebrato l’eredità della celebre designer del Bauhaus, fondendo fedeltà filologica e innovazione. Una nuova prospettiva sul tessile, tra visione artistica e tecnologia.

Nel cortile del Corriere della SeraMario Cucinella ha presentato La città Paradiso: tra plastici, sfere e maquette quasi da presepe, l’architetto ha messo in scena un racconto accessibile e didattico, capace di parlare anche a un pubblico non specialistico. E sì, forse alcune scelte formali erano discutibili, ma il messaggio è arrivato forte e chiaro.

Infine, Lavazza. Il suo padiglione, perfettamente orchestrato tra storytelling, estetica e marketing, ha saputo coniugare attrattività e coerenza. Il prodotto è tra i più visibili (e venduti), ma l’allestimento non si è limitato a fare da sfondo: è stato esso stesso contenuto. Un piccolo esempio di come si possa ancora stupire, se si ha qualcosa da dire.

Installazioni — Capitolo Salone del Mobile

Un capitolo a parte nel nostro report della Milano Design Week 2025 lo meritano le installazioni ospitate all’interno del Salone del Mobile. Se il Fuorisalone si è fatto palcoscenico di esperienze urbane più libere e spesso caotiche, la fiera ha cercato un linguaggio più controllato ma non per questo privo di ambizione.

Resta però l’amarezza – condivisa da molti – per l’installazione di Paolo Sorrentino, che di fatto è rimasta un miraggio. L’attesa è diventata parte dell’opera stessa, come nei suoi film: lunga, sospesa, forse rimandata all’anno prossimo. O chissà quando. Eppure, il solo annuncio ha generato aspettativa: un segnale che certi nomi sanno ancora attivare un immaginario collettivo.

Mother, al Castello Sforzesco, tenta il grande racconto. Un percorso tra luce, scultura e performance live, con un impianto narrativo fortemente concettuale. Ma il messaggio, pur attuale, si perde in un eccesso di retorica. La figura della madre viene stiracchiata fino a diventare veicolo forzato di contemporaneità, quando avrebbe meritato più silenzio e meno didascalie.

Discorso diverso per l’Arena di Sou Fujimoto, che si presenta con un volto diverso da quello mostrato nei rendering. Nella realtà diventa una scena aperta, con sedute a gradinata che trasformano il pubblico in spettatore e attore. Forse l’idea iniziale era altra, ma ciò che ne resta funziona: le sedute, i materiali, la geometria leggera. C’è una delicatezza funzionale che rende l’installazione comunque riuscita.

E poi Villa Heritage, una vera sorpresa. Un progetto che riesce a essere concreto e affascinante, con uno stile che definiremmo senza tempo. L’interpretazione del neoclassico contemporaneo trova qui una delle sue espressioni migliori, senza eccessi ma con grande raffinatezza. La presenza di numerosi brand all’interno non sovrasta il progetto, anzi: lo arricchisce e lo rende esperienza corale. E viene spontaneo chiedersi se Rochon non sia davvero più avanti di tutti, anticipando quel passaggio dal minimalismo esasperato al nuovo classico.
Dopo anni di quiet luxury, forse siamo davvero arrivati al punto di svolta.

Moda e design: un dialogo sempre più stretto

La Design Week 2025 ha messo ancora più in luce la simbiosi crescente tra moda e design. Siamo solo al secondo anno di questa incursione massiva dei brand moda nel mondo del progetto, eppure si percepisce già una certa saturazione. La presenza è capillare, ma spesso superficiale: si moltiplicano gli oggetti griffati che poco hanno a che fare con il linguaggio del design e molto con le strategie di marketing.

Il punto è chiaro: per entrare nella storia del design non basta un logo su un oggetto. Serve cultura del progetto, visione, e una riflessione sul tempo. La moda, in questo senso, rischia di disorientare il pubblico e appiattire il messaggio, allontanando sia i professionisti sia i curiosi.

Gucci, ai Chiostri di San Simpliciano, ha saputo però trovare un equilibrio. La foresta di bamboo è stata una delle installazioni più riuscite, anche grazie a un racconto coerente con l’identità del brand e all’uso di materiali naturali già esplorati nella mostra di Shanghai.

Diverso l’approccio di Prada e Miu Miu, che confermano la loro inclinazione elitaria. Tra eventi blindati e location inaccessibili, anche l’acquisizione di Versace pare non cambiare la rotta. In un momento in cui il lusso italiano si riorganizza, sarebbe auspicabile una maggiore apertura: il pubblico va coinvolto, non solo selezionato.

Saint Laurent è l’unico a dare una vera scossa a una zona come Tortona, ormai sempre più commerciale e meno legata al progetto. I pezzi esposti sono rari esempi di design d’eccellenza. Il divano da 7 metri — a partire da 285.000 € — è una dichiarazione di intenti. E l’opuscolo con i lucidi e i disegni di Charlotte Perriand, venduto a 50€ all’esterno della boutique, è tutto fuorché design democratico. Ma emoziona, e questo resta un valore.

Loewe, come sempre, lavora per sottrazione e poesia. A Palazzo Citterio espone oggetti unici, tra cui una teiera firmata da Patricia Urquiola e David Chipperfield che incanta. Forse uno dei progetti più compiuti di questa edizione, capace di coniugare arte, design e spirito del brand.

Il brand più chiacchierato è stato però Etro, il cui sgabello in omaggio ha attirato folle e meme. Ironia, code infinite e perfino un intervento in real time marketing da parte di IKEA. Peccato, perché l’allestimento e i contenuti erano ben curati: ma l’oggetto ha oscurato il progetto.

Buccellati ha incantato con un padiglione immersivo: oggetti in argento ispirati al mondo dei boschi e del mare che raccontano la maestria artigianale e una profonda connessione con la natura. Elegante e simbolico.

Loro Piana, invece, ha proposto un’installazione rapida, effimera, quasi sfuggente. Il concept funziona, il racconto anche. Ma tra pop corn e corse per uscire in tempo dall’allestimento, l’esperienza ha lasciato perplessi. Nessun prodotto in vista, e un’esecuzione firmata Dimore Milano che convince solo a metà.

Issey Miyake, insieme a Yoshiyuki Miyamae e Atelier Oï, porta invece una visione intima e coerente. Le lampade realizzate con i tessuti plissé della linea A-POC ABLE sono poesia visiva. L’esposizione è un viaggio: silenzioso, immersivo, profondo.

Guess presenta il nuovo profumo con un percorso olfattivo che funziona nelle intenzioni, ma non nella resa visiva: poco memorabile, in un contesto dove l’estetica è tutto.

Chiude in grande Louis Vuitton, la vera star dell’edizione. L’apertura del flagship in Montenapoleone è solo il pretesto per una presenza importante, culminata nella mostra al piano superiore. Ma il cuore del progetto è nel cortile di Palazzo Serbelloni, dove la riproduzione de La Maison au Bord de l’Eau ha portato un pezzo di modernismo francese al centro di Milano. Un esempio concreto di come moda e design possano davvero incontrarsi — con misura, cultura e visione.

I prodotti che abbiamo amato

In mezzo a installazioni spettacolari, eventi blindati e storytelling visivo, alcuni prodotti hanno saputo parlare da soli, conquistandoci con funzionalità, estetica e innovazione. Ecco quelli che, nel nostro report della Milano Design Week 2025, ci hanno lasciato davvero qualcosa.

Occhio, con le sue lampade esposte nella suggestiva cornice di Villa Necchi Campiglio, ha dimostrato che la tecnologia può essere elegante e al servizio dell’esperienza. Con un semplice tocco, si può modulare intensità e temperatura della luce: dal calore avvolgente a una luce fredda più tecnica. Un gesto semplice che migliora la qualità dell’abitare.

NO GA Projects, nello spazio di Capsule Plaza in via Maiocchi, ha ridefinito il concetto di bagno. Il blocco bagno diventa un oggetto architettonico, quasi scultoreo, capace di portare una nuova visione in uno degli ambienti più statici della casa. Una riflessione sul vivere contemporaneo che non passa inosservata.

Very Simple Kitchen, in collaborazione con Studio Proba, ha portato freschezza nel mondo delle cucine in acciaio. Colore, geometrie nuove, modularità e voglia di osare: l’acciaio diventa materia viva e contemporanea. Finalmente un’idea che si allontana dalla freddezza tecnica e abbraccia il design emozionale.

La sedia cantilever S 64 reinterpretata da Jil Sander per Thonet è un’operazione raffinata che guarda al passato con uno sguardo proiettato al futuro. Una delle icone del Bauhaus ripensata con delicatezza, mantenendo il linguaggio del tubolare d’acciaio ma declinato con l’eleganza sartoriale del marchio tedesco. Quando moda e design si incontrano nel modo giusto.

Da IKEA, sorprende la lampada a sospensione in vetro e ottone della collezione STOCKHOLM 2025. Un prodotto che racchiude il meglio del design democratico: materiali nobili, forme senza tempo e un’estetica che sfida le mode. Una lezione di sobrietà e coerenza.

Infine, un prodotto che racconta l’Italia con forza: la credenza modulare Memè, disegnata da MCA Design per Officine Tamborrino. Linee essenziali, materiali sostenibili, produzione pugliese e un modulo idroponico integrato. Un equilibrio tra tradizione e innovazione, tra forma e funzione. Un made in Italy che guarda lontano.

Con l’eco ancora viva tra installazioni riuscite e altre dimenticabili, non resta che voltare pagina e guardare al prossimo appuntamento: Milano Design Week 2026, dove — si spera — il progetto torni al centro e il contorno smetta di rubargli la scena

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