Il Tempio dell’amore e della resistenza estetica
Rick Owens non sfila: celebra. E ogni sua sfilata diventa un rituale collettivo, una liturgia laica che unisce moda, performance e filosofia estetica. Alla Paris Fashion Week, il designer californiano ha presentato la sua nuova collezione donna SS26, intitolata Tempio. Un titolo che echeggia e completa la collezione maschile mostrata a giugno e si intreccia con la retrospettiva Temple of Love, in corso fino al 4 gennaio 2026 al Palais Galliera.
Il filo conduttore è chiaro: Owens costruisce un universo fatto di architetture del corpo e riti della moda. Il Tempio non è solo una passerella: è un luogo di passaggio, un crocevia di simboli, un invito a riflettere su amore, libertà e resistenza estetica.
La messa in scena: donne d’acqua
Ancora una volta, la cornice è il Palais de Tokyo. L’acqua della sua fontana diventa scenografia viva: se a giugno i modelli maschili vi si erano immersi completamente, stavolta le donne di Owens la attraversano lentamente, scendendo da gradoni metallici.
Mentre la voce di Grace Slick canta Somebody to Love, le modelle avanzano nell’acqua fino al ginocchio, ieratiche, alienanti, con lenti a contatto nere che oscurano totalmente lo sguardo. È un’immagine disturbante e magnetica: c’è chi pensa a profughe in attraversamento, chi a presenze extraterrestri. Owens lascia spazio all’interpretazione, ma intanto scolpisce un rituale visivo che è impossibile dimenticare.
Il Tempio dell’Eterno Rinnovarsi
Il “Tempio” immaginato da Rick Owens non è un luogo immobile né una reliquia, ma un organismo vivo che respira, muta e si consuma. È il riflesso stesso della moda: un continuo processo di metamorfosi che nasce, decade e rinasce, senza mai potersi fermare.
Alla base c’è l’idea di fascinazione: quella forza misteriosa capace di catturare lo sguardo e sospendere il tempo. Un magnetismo che oggi il sistema moda fatica a generare, spesso soffocato da logiche commerciali e ripetizioni sterili. Owens, invece, ne fa il centro della sua ricerca. Non la lascia evaporare, ma la costruisce con metodo, trasformandola in materia, gesto e immagine. Il Tempio diventa così il luogo dove il fascino non è un artificio superficiale, ma un rituale necessario.
La collezione: drappeggi, corazze e fragilità
La SS26 di Rick Owens si muove come un poema visivo che intreccia potenza e vulnerabilità. I tratti distintivi del suo linguaggio rimangono riconoscibili: le silhouette si slanciano in verticale, sorrette da platform traslucidi che trasformano i corpi in sculture viventi; le spalle, esasperate e monumentali, ridisegnano la figura come architettura; i drappeggi, fluidi e avvolgenti, evocano i pepli antichi, trasformando le modelle in moderne vestali.
Eppure, dentro questa grammatica consolidata, Owens introduce una tensione nuova: il dialogo tra fragilità e resistenza. Gli abiti non sono mai soltanto belli o solenni, ma custodiscono una durezza segreta, una corazza che si nasconde nella loro stessa leggerezza. È qui che il lavoro diventa affascinante: tessuti industriali si piegano a suggestioni poetiche, materiali ruvidi si trasformano in superfici quasi eteree.
Il nylon industriale, certificato GOTS, viene manipolato fino a generare lunghe gonne e abiti drappeggiati, ricamati a mano con perline e paillettes rielaborate dall’artista parigina Matisse Di Maggio, maestra del feticcio e della materia. Alcuni pannelli sono immersi nel lattice, poi asciugati e lucidati fino a ottenere una crosta brillante, quasi metallica, che vibra sotto le luci. La pelle vegetale, invece, si apre a biker jacket decorate da frange di cuoio che sembrano lacrime, come un pianto trattenuto dentro la forza dell’armatura.
Accanto a queste presenze più solide, Owens fa emergere leggerezze inaspettate: trench coat modulari, pensati come due pezzi che si sovrappongono e dialogano, creando architetture in movimento; bomber vaporosi, con un effetto zucchero filato che stempera la durezza e restituisce una dimensione quasi onirica.
È un equilibrio sottile, quello che Owens disegna: tra materia grezza e raffinatezza, tra protezione e vulnerabilità. Non una semplice provocazione estetica, ma una ricerca radicale che dimostra come la moda possa ancora sorprendere e affascinare senza scivolare nella pura spettacolarizzazione.
Costellazioni intime
Rick Owens non concepisce la creazione come un atto solitario. La collezione SS26 intreccia la sua visione con collaborazioni e dettagli che ampliano l’universo del Tempio. Le cappe di pelle frangiata, nate dalla mano del giovane designer londinese Straytukay, introducono un’energia ruvida e tribale, mentre la stampa — elemento rarissimo nelle sue passerelle — diventa il segno più intimo.
Su abiti lunghi, fluidi e solenni, così come su bomber dalle proporzioni rigorose, appare una mappa stellare tracciata anni fa dal padre dello stilista. Un gesto biografico, fragile e potente al tempo stesso: non semplice decorazione, ma memoria tradotta in segno. È la trasformazione dell’astrazione in intimità, del cosmico in personale.
La canonizzazione del ribelle
La SS26 non è soltanto un capitolo di passerella, ma il tassello di un anno decisivo per Rick Owens. La retrospettiva Temple of Love al Palais Galliera lo consacra definitivamente nel pantheon della moda, accanto a figure monumentali come Alaïa e Margiela.
Non si tratta di un traguardo commerciale, ma di un riconoscimento culturale che sigilla un percorso irripetibile. Con la sua estetica radicale e le sue architetture del corpo, Owens smette di essere l’outsider ribelle per diventare sacerdote canonizzato di un culto estetico capace di trasformare l’inquietudine contemporanea in mito.
Owens è ormai parte integrante della storia della moda: un faro che resiste all’omologazione, lontano dalle logiche della finanza e dalle banalizzazioni del sistema. Il suo modo di fare moda non appartiene all’effimero delle stagioni: è già eterno!




