Decostruire è la vera ricetta dei designer emergenti
Milano Fashion Week Uomo SS26: Setchu apre la kermesse di giugno 2025 con una collezione che conferma il suo percorso coerente, riflessivo, capace di sfidare ogni convenzione estetica senza cedere all’effimero.
La collezione SS26 è un manifesto: un lavoro sull’identità, sull’essenza del capo, sulla sua grammatica interna. Un punto di partenza netto per un mese che si annuncia teso, nervoso, a tratti incerto.
La cancellazione della London Fashion Week – decisione simbolica che scuote l’industria – contrasta con i segnali positivi che arrivano da Firenze: Pitti Uomo 108 segna un inizio promettente, con 4.400 buyer esteri (+3% rispetto al 2024) e una previsione che punta tra gli 11.500 e i 12.000 compratori totali. L’energia c’è, ma è rarefatta. Milano prende il testimone con cautela, in un calendario più scarno rispetto a Parigi, ma non per questo privo di profondità.
Setchu non delude. Anzi, sorprende.
Il pensiero prima del prodotto
Il lavoro di Satoshi Kuwata, fondatore di Setchu e vincitore del LVMH Prize 2023, è sempre stato orientato alla sintesi tra culture e tecniche. Il termine “Setchu” – che in giapponese significa “fusione di elementi opposti” – è già tutto un programma. Ma nella SS26 questo concetto si fa ancora più radicale: la collezione smonta, spezza, scompone, riassembla. La destrutturazione non è solo un gesto formale, è il modo con cui Kuwata riflette sull’identità dell’uomo contemporaneo.
Pantaloni che si aprono lateralmente come kimono, giacche che sembrano negate alla simmetria classica, camicie che nascondono plissettature interne e cuciture mimetizzate. Tutto è studiato per destabilizzare l’occhio, eppure ogni pezzo restituisce una profonda armonia. La palette vira sui neutri – panna, kaki, grigi lunari – ma si accende a tratti con blu intensi e lampi di arancio ruggine. Il tailoring è sempre presente, ma tradito e rinnovato, in un continuo gioco di illusione ottica e funzione reale.
La nuova grammatica dell’emergente
C’è un filo che lega la nuova generazione di designer: è la volontà di decostruire. Lo abbiamo visto a Firenze con Niccolò Pasqualetti, lo ritroviamo con forza in Setchu. Il gesto non è mai gratuito, ma figlio della complessità culturale ed esistenziale del nostro tempo. Il mondo – e con esso la moda – non è più leggibile con codici stabili. Così la forma viene destrutturata, e con essa il significato.
Questo gesto ha un parallelo potente nell’architettura. Come nel decostruttivismo di Frank Gehry o Daniel Libeskind, anche nella moda di Setchu si annulla l’idea di armonia classica, si rifiuta la narrazione lineare. Si entra in un terreno più ambiguo, dove la forma è fluida, mutevole, ma mai priva di contenuto. Non si tratta di un esercizio estetico fine a se stesso, ma di una precisa volontà di decodificare – e forse tradire – i linguaggi della moda tradizionale.
In questo senso, la sfilata non è più solo presentazione ma performance. Una forma di pensiero visivo che destabilizza, provoca e rielabora. Non c’è un unico centro, un messaggio chiaro. C’è piuttosto un tentativo di rappresentare la molteplicità, la tensione, la trasformazione.
SETCHU SS26: il futuro si costruisce scomponendolo
Nel percorso di Setchu si percepisce un crescendo. La collezione SS26 si posiziona tra i lavori più maturi e profondi della maison: è una moda intellettuale, ma mai fredda; costruita con rigore, ma capace di emozionare. In un panorama dominato dal rumore, Setchu sceglie il silenzio consapevole del pensiero.
E se questa è la partenza di Milano, allora possiamo ben sperare. La moda maschile ha bisogno di visioni radicali, di gesti onesti e profondi, di stilisti che non temono di sporcarsi le mani con la complessità del presente. Kuwata, con la sua estetica pulita ma radicale, dimostra che la vera avanguardia non ha bisogno di effetti speciali: basta un taglio obliquo, una cucitura fuori asse, un pensiero forte dietro ogni capo.
La moda è un linguaggio. E Setchu, oggi, parla una lingua nuova.