Urbanistica dell’immobilismo

Perché la città delle regole è naufragata: il caso Milano e le città italiane

L’urbanistica dell’immobilismo è il risultato tangibile della stratificazione normativa che, invece di agevolare la trasformazione urbana, finisce per paralizzarla. È notizia recente l’apertura di un’inchiesta da parte della Procura di Milano che scuote profondamente il settore. Milano, tra le poche città italiane a investire con decisione sulla rigenerazione urbana, si ritrova ora bloccata in un sistema considerato da molti ormai fallimentare.

Inchiesta urbanistica a Milano

La Procura di Milano ha aperto un’indagine sull’urbanistica cittadina, ipotizzando l’esistenza di un sistema di speculazione edilizia sistemica. Sei le richieste di arresto tra dirigenti comunali, imprese e professionisti. Il sindaco Beppe Sala è indagato, insieme ad altre venti persone, per false dichiarazioni nella nomina di Giuseppe Marinoni alla Commissione Paesaggio e per induzione indebita legata al progetto del “Pirellino”, ovvero la trasformazione della ex sede comunale nella cosiddetta “Torre Botanica”.

Al centro dell’indagine c’è il cosiddetto “Pgt ombra”, un presunto piano parallelo di indirizzo urbanistico, gestito da una rete di interessi privati e funzionari pubblici, che operava al di fuori dei canali istituzionali. Si tratta di una sorta di urbanistica sotterranea, che avrebbe orientato scelte strategiche attraverso meccanismi informali e negoziali, marginalizzando il ruolo della pianificazione pubblica. Il 23 luglio sarà una data chiave per l’evolversi dell’indagine.

Tra i nomi coinvolti anche Manfredi Catella, fondatore e presidente di Coima, società che ha firmato alcune delle operazioni più iconiche del nuovo skyline milanese: il Bosco Verticale, la sede Microsoft e la Torre Unicredit. Coima è attualmente impegnata nella costruzione del Villaggio Olimpico all’ex Scalo Romana, destinato a diventare uno studentato dopo Milano-Cortina 2026.

Gli strumenti della pianificazione: tra norme e paralisi

La rigenerazione urbana si basa su un sistema complesso e articolato di strumenti di pianificazione urbanistica, con al centro il Piano di Governo del Territorio (PGT), obbligatorio per i Comuni lombardi ai sensi della Legge Regionale 12/2005. Il PGT si struttura in tre parti fondamentali:

  • Documento di Piano, che definisce le strategie generali per lo sviluppo sostenibile del territorio;
  • Piano dei Servizi, che individua e programma le dotazioni pubbliche essenziali, come scuole, parchi e infrastrutture sociali;
  • Piano delle Regole, che regola l’uso e la trasformazione del patrimonio edilizio esistente, fissando parametri urbanistici e destinazioni d’uso.

A livello attuativo, la trasformazione urbana è realizzata attraverso strumenti specifici:

  • PII Piani Integrati di Intervento , strumenti negoziali che integrano funzioni residenziali, commerciali e di servizio, favorendo la perequazione urbanistica;
  • PIRUPiani di Recupero e Programmi Integrati di Riqualificazione Urbana, dedicati al recupero e riuso del tessuto urbano consolidato e spesso degradato;
  • PTOPPiano Triennale delle Opere Pubbliche, strumento di programmazione finanziaria per definire priorità, risorse e tempistiche degli interventi infrastrutturali pubblici.

A completare il quadro normativo, le leggi regionali più recenti, come la L.R. 18/2019 sulla rigenerazione urbana in Lombardia, introducono incentivi quali:

  • premi volumetrici per favorire la densificazione controllata;
  • deroghe agli strumenti urbanistici vigenti per facilitare progetti innovativi;
  • crediti edilizi da rigenerazione, strumenti volti a compensare interventi in aree degradate con investimenti ambientali e sociali.

Strategicamente, grandi progetti di trasformazione urbana vengono gestiti attraverso masterplan urbanistici per aree dismesse o ex scali ferroviari, mentre l’urbanistica tattica si afferma come pratica innovativa, promuovendo interventi temporanei, leggeri e partecipativi che favoriscono la sperimentazione e l’adattamento delle città alle nuove esigenze sociali e ambientali.

Nonostante l’ampiezza e la varietà di questi strumenti, la complessità normativa e la sovrapposizione delle regole rischiano di rallentare i processi di rigenerazione urbana, generando un effetto di immobilismo che ostacola le trasformazioni urbane efficaci e sostenibili.

Troppe regole, pochi risultati?

Negli ultimi anni, il sistema urbanistico italiano ha prodotto una moltiplicazione di norme e dispositivi: PGT, PII, PIRU, PTOP, bonus volumetrici, crediti edilizi, leggi sulla rigenerazione. Questa iper-normazione ha finito per creare un panorama complesso e disomogeneo. L’eterogeneità tra Regioni, la lentezza delle procedure e la scarsa integrazione tra strumenti strategici e attuativi hanno minato l’efficacia della pianificazione.

L’urbanistica si è trasformata in un labirinto procedurale: farraginosa, poco trasparente e incapace di produrre risultati concreti. Anche strumenti innovativi come i masterplan o l’urbanistica tattica faticano a incidere senza una governance forte e un coordinamento reale tra pubblico e privato.

Rigenerazione urbana o speculazione edilizia?

La rigenerazione urbana, se non guidata da principi di equità, rischia di generare gentrificazione e speculazione. Un fenomeno diffuso è quello delle ristrutturazioni mascherate, operazioni che si presentano come recupero edilizio ma che di fatto costruiscono ex novo, beneficiando di incentivi e deroghe.

Molti progetti si fregiano di narrazioni “green” – facciate verdi, pannelli solari, mobilità dolce – usate come strumento di marketing più che come pratica urbana autentica. La sostenibilità viene brandizzata, non verificata. Mancano valutazioni reali sull’impatto ecologico e sociale.

Milano è emblematica: quartieri come NoLo, Dergano, Barona e Adriano hanno subito una pressione immobiliare crescente, con l’espulsione di residenti storici. Laddove si parlava di rigenerazione, si è realizzata sostituzione sociale.

Non va meglio nel resto d’Italia: Roma, Bologna, Firenze, Napoli e Torino

Anche altre città italiane sperimentano gli effetti ambigui della rigenerazione urbana. Roma, quartieri come Ostiense e Testaccio sono stati valorizzati per interessi immobiliari sotto la maschera del recupero industriale. A Bologna, la Bolognina è diventata un caso di gentrificazione rapida. A Firenze, Oltrarno e il centro storico hanno visto l’espulsione dei residenti a favore di seconde case e strutture turistiche. Napoli, interventi nel centro e nell’area portuale hanno puntato sulla valorizzazione commerciale più che sull’inclusione. Torino, quartieri come Aurora e Barriera di Milano hanno vissuto un’ascesa dei prezzi senza un piano di riequilibrio abitativo.

In tutti questi casi, la rigenerazione è stata pilotata dal mercato più che dalla pianificazione, generando valorizzazione senza redistribuzione.

Ha ancora senso che l’urbanistica esista?

L’analisi dei casi dimostra che, senza solide politiche sociali e abitative, la rigenerazione urbana in Italia rischia di tradursi in un motore di disuguaglianze. L’urbanistica non può più essere un mero esercizio tecnico o burocratico. Deve diventare uno strumento politico e redistributivo, capace di promuovere giustizia spaziale, ambientale e sociale.

Ha ancora senso parlare di urbanistica solo se si accetta che il suo scopo non è solo regolare, ma prendersi cura della città: di chi la abita, di chi ne resta escluso, di chi rischia di essere espulso. L’urbanistica deve porsi le domande giuste: per chi costruiamo? chi guadagna? chi perde?

Rigenerare non può significare solo valorizzare aree dismesse o attrarre capitali privati: deve essere un processo condiviso, con regole trasparenti, strumenti redistributivi e una governance democratica. Solo così l’urbanistica può tornare a essere rilevante e legittima.

Se non torna a essere uno strumento per chi la città la vive – e non solo per chi la investe – l’urbanistica rischia di non servire più a nessuno.

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